Regia di Shane Black vedi scheda film
Quando alla prima immagine del film, sul logo Marvel, parte la base di un successo degli Eiffel 65 sono in molti, increduli, a pensare che il treno di spot che precedono il film non si sia ancora concluso. Ed invece no, quel motivetto un po’ vetusto e tanto tamarro è il biglietto da visita di “Iron man 3”, terzo episodio dedicato a Tony Stark ed alla sua creatura. L’impatto col film dunque non è dei più positivi, ma la pellicola sarà un vero crescendo rossiniano, che si concluderà egregiamente con un controfinale, proposto per i più pazienti dopo l’ultimo titolo di coda, in cui si vede Tony Stark confidarsi, a mo’ di seduta psichiatrica, con l’amico Bruce Banner (sì, proprio lui, l’alter ego di Hulk), dimostrando che il film è frutto del racconto del protagonista. La sorpresa finale è la degna conclusione di un film che porta a compimento un percorso cominciato già in precedenza, che corregge il tiro sulla caratterizzazione della personalità di quel magnate e filantropo che risponde al nome di Tony Stark. Un percorso di umanizzazione al termine del quale non si vedrà più il protagonista come una figura quasi mitologica, un eroe sprezzante che, armatura o no, è uno sbruffone con lampi di esaltazione, così come avevamo imparato a conoscere nel primo episodio della serie. Molto più coerentemente col personaggio delineato nel fumetto Marvel, Stark ridimensiona il suo istrionismo (fino, appunto, a finire dallo psicologo come un comune essere umano), è vulnerabile, arriva quasi ad incutere tenerezza, certamente è più vero, finalmente lontano da una caratterizzazione, per molti, troppi versi similare a quella proposta nella saga di Sherlock Holmes firmata da Guy Ritchie ed interpretata dallo stesso Robert Downey Jr..
Per ultimare tale percorso Jon Favreau, ancora protagonista in video nei panni di Happy, l’amico e “guardia del corpo” di Stark, si auto-esautora (essendo egli produttore esecutivo della pellicola) dal ruolo di regista, passando la mano a Shane Black, alla sua seconda direzione dopo “Kiss Kiss Bang Bang” del 2005, ancora con Downey Jr. protagonista. Ma la regia non è l’unica novità del film. In attesa, pare, dei clamorosi sconvolgimenti di casting del quarto capitolo, il parterre di attori si arricchisce delle non banali presenze di Guy Pearce, bravo nel doppio ruolo di genio imbranato che diviene perfido villain avido di vendetta, di Rebecca Hall, ma soprattutto del sempre perfetto Ben Kingsley, che interpreta il Mandarino, un personaggio che vale da solo il prezzo del biglietto.
Il film è girato con ritmi compulsivi, in cui spesso il mix di montaggio frenetico e inquadrature strettissime porta quasi a perdere l’orientamento nell’inquadratura. La scena degli attacchi degli elicotteri alla villa di Stark e il combattimento finale nel cantiere navale sono scene che rimangono impresse per un livello di catastrofismo fuori dall’ordinario. Più ancora che ad “Iron man 2”, sono molto più evidenti e reiterati i rapporti con “The avengers” (il riferimento a Loki e Thor e i “Superamici” di New York, la presenza finale di Mark Ruffalo – che ha esordito come Hulk proprio in “The avengers”, gli attacchi di panico del protagonista rapportabili al rischio occorso in occasione della chiusura del portale dimensionale in cui vennero ricacciati i chitauri). Il tutto funzionalmente all’uscita del prossimo “The avengers 2”.
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