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Iron Man 3

Regia di Shane Black vedi scheda film

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La recensione su Iron Man 3

di M Valdemar
4 stelle

Più umano, più vero. È un supereroe sincero.

Tony Stark è irrequieto.
I fatti di New York (quelli narrati in The Avengers) gli procurano insonnia, strani pensieri, oscure sensazioni (mah!). Dedicandosi anima, corpo e mente al suo “hobby” (quello di “armeggiare” con i suoi gioielli ipertecnologici, replicanti dell’armatura di Iron Man), trascura l’amata e il pianeta che è sotto scacco di un fantomatico terrorista, il Mandarino.
Bah, basta, la storia qui inizia, narrata dalla voce fuori campo di Stark come fosse una confessione (toglietevi dalla testa Viale del tramonto), poi procede, poi termina. Tutto calcolato, tutto prevedibile, tutto (pre)visto.
La modalità standard è attiva a pieno regime, gli eventi seguono schemi e meccanismi già noti, e persino la “svolta” impressa riguardante il “binladeniano” supercriminale si rivela tutt’al più una trovata che vorrebbe essere una pensata geniale ed invece è roba, simpatica sì (per più o meno una manciata di secondi), ma nient’affatto originale (curiosamente centra sempre Ben Kingsley, ma dall’altra parte, e chi vuole capire capisca …).
Il resto è noia. Ben presentata, certo, in una confezione stracolma di lustrini, effetti, e grande grande grande e bella bella, ma tolta quella non rimane che un prodotto di cui si conoscono a memoria pregi e proprietà al quale però manca, appunto, la suprema virtù della novità.
Andamento affannoso malgrado l’elevata dose di esplosioni e creazioni digitali (ai quali va aggiunto il solito 3D convertito), ed un protagonista dal fascino in annoiata discesa.
Personaggio, Stark/Iron Man, che non funziona più come prima, e del quale le conosciute caratteristiche - lo stile, il carisma, la personalità, la “cialtronaggine“, la genialità (un po’ meccanico un po’ MacGyver un po’ Mac-indistruttibile) - sembrano vivere una fase di stanca, di inerte attesa; altresì deficitarie di ispirazione (ché non è propriamente il massimo ripetersi) nonché “infettate” da ambiziose infiltrazioni di problematiche alquanto incerte e poco calibrate né tantomeno convinte/convincenti. Ivi compresa la decisione finale (riacquistare la “normalità”, l’umanità perduta) che giunge posticcia e sbrigativo nonché pretestuosa (tornerà nelle metalliche vesti di Iron Man? Tanto basta per alimentare le attese e le speranza per i prossimi capitoli); un chiaro tentativo di inseguire il modello “realistico” del Cavaliere Oscuro nolaniano. Ma non ci si può inventare una serie di difficoltà esistenziali così, su due piedi, affidarne rivelazione e portata ad un paio di battute e situazioni - come intermezzo di sequenze esplosive o umoristiche - e poi risolvere il tutto in trenta secondi.
Scemata la presa mortale di Tony Stark, la cui centralità è vitale, personaggi nuovi e vecchi si muovono come pedine amorfe di uno scacchiere lucidato e luccicante solo per coprire le manifestazioni di muffa.
Gwineth Paltrow, sempre di tutto punto vestita, l’abbiamo oramai accettata, però la sua trasformazione nel finale in essere violento e risoluto non si può guardare, su: l’espressione è sempre la stessa, di algida signora sempre in posa. Jon Favreau, che qui ha abbandonato il posto in cabina di regia (non quello di produttore) si “macchiettizza” sempre più: simpatico ma superfluo.
Come superfluo è pure Don Cheadle, in pratica non pervenuto (eppure c’era, eh), se non come spalla comica del metallico eroe.
Naturalmente quando si parla di saghe, di seguiti e quant’altro, l’attenzione è rivolta alle new entry, in particolare ai cattivi di turno. Che nel caso specifico si rivelano essere non molto interessanti, sviluppati perlopiù in maniera convenzionale, già sfruttata. Quello apparentemente principale è Ben Kingsley, il Mandarino: per lui si è trattato evidentemente null’altro che di un divertissement; a volte diverte, altre sfiora il ridicolo. Il gran puparo Guy Pearce, d’altro canto, delude per la pochezza del personaggio, la cui storia è un frullato di déjà vu, insipido e gonfiato.
In generale è un copione che non brilla per inventiva e capacità di approfondimento, mediocre anche sotto l’aspetto puramente ludico e di cui si fa fatica a comprendere la scelta dei cattivissimi superuomini geneticamente modificati (con ghigno d‘ordinanza e “corazza” umana inscalfibile: quale sarà il prossimo passo? E dove sono lo Shield, il governo, gli altri vendicatori vista la grande minaccia?), ai quali si contrappongono una trentina di cloni di Iron Man teleguidati. Il che sarebbe un grosso passo in avanti, una ghiotta evoluzione, ma, ovviamente ed opportunamente, i “gioiellini” di Stark vengono freddati in un batter d’occhio e presto risucchiati nel cestino virtuale dell’oblio supereroistico. Mossa che rivela tutta la fugacità dell’operazione (un’altra trovata, che non può avere conseguenze né può costituire una seria opzione).
Fatale, poi, lo spreco di una Rebecca Hall in un ruolo poco sensato e liquidato frettolosamente: bastano pochi secondi per rendersi conto che sprizza energia e sensualità da tutti i pori/pixel (e divorarsi la bella statuina paltrowiana è un attimo).
Titoli di testa musicati da Blue (Da Ba Dee) degli Eiffel 65 (!!) e titoli di coda, banalmente, troppo “fumettosi” (ed infiniti, oltre i quali, c’è il solito post-finale con la partecipazione di uno degli Avengers: niente di che), “completano” l’opera.
Del quale si stenta a vedere la mano di Shane Black, regista nonché co-sceneggiatore, già autore di quel piccolo gioiello di Kiss Kiss Bang Bang (sua unica opera diretta, nella quale recitava proprio Downey jr., mentre come sceneggiatore vanta un curriculum di tutto rispetto): si limita al (preconfezionato) compitino, come fosse un Jon Favreau qualunque.
Sono prodotti, questi, certamente nati e sviluppati sulla base di un progetto che coinvolge l’intero mondo Marvel (esplicitato poi in The Avengers) ed in generale attorno ad un’idea/concezione ben definita e configurata, per cui i registi di volte in volta coinvolti più che altro sono meri esecutori materiali, però qualcosa in più era lecito attendere.
Invece, dato uno script anonimo ed affatto brillante, il film viaggia sui binari dello spettacolo e del divertimento noti e sicuri, con la garanzia di assicurarsi le simpatie e gli incassi del pubblico.
Nessuna evoluzione reale e seria: in pratica guardare Iron Man 3 è come assistere ad una replica/copia delle precedenti puntate, i cui soli interessi, oltre alla “normale” e ben codificata esibizione di sequenze action e umoristiche, sono quelli di gustarsi i nuovi “gadget“, i nuovi comprimari, e vedere come proseguirà la storia.
 

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