Regia di Mark Steven Johnson vedi scheda film
“Nel 1992 l'esercito serbo ha invaso la vicina Bosnia, iniziando una guerra segnata da numerosi massacri tra civili in nome della pulizia etnica. Più di 200.000 persone sono morte nel genocidio, più di ogni conflitto europeo dalla Seconda Guerra Mondiale. Nel 1995 l'esercito americano e i loro alleati della NATO sono intervenuti, lanciando la cosiddetta Operation Deliberate Force.”
Poi nel pieno di un'azione per liberare degli ostaggi in un vero e proprio campo di concentramento, una scoperta agghiacciante: in un treno merci, ammassati come cataste di legna secca, corpi imbalsamati e ancora putrescenti di una carneficina che traspare dalle smorfie dell'agonia.
Un'esperienza travolgente, devastante come un incubo che non potrà mai abbandonarti, che segna per sempre quel manipolo di soldati accorsi a fermare quell'eccidio, e li spinge, una volta catturati i responsabili, a giustiziarli sommariamente senza appello alcuno. Tutti meno uno in realtà, perché uno di quei soldati tentenna e si ferma. Qualcosa gli impedisce di sparare alla nuca e togliere di mezzo un'altra vita.
Quasi vent'anni dopo, ossia ai giorni nostri, un ex colonnello in congedo, solo e solitario,trascorre la sua ultima infinita vacanza che è l'ultimo capitolo di una vita, cacciando e isolandosi in uno chalet sulle montagne rocciose: assaporando l'emozione della caccia più che cacciando, perché qualcosa lo ferma sempre dal procedere a sparare.
Per caso, o almeno così sembra, l'uomo si imbatte durante un guasto alla propria jeep, in uno strano personaggio che tradisce nel suo inglese un po' forzato un accento serbo che il militare ben conosce. L'uomo in realtà nasconde more ben precise legate proprio a quella spietata ma non immotivata esecuzione sommaria.
Un contesto bellico tragico e spietato, cornice insanguinata di una lotta fratricida di proporzioni quasi uniche per furore ed efferatezza, costituisce l'occasione, matura e serissima, per l'incontro di due veri e propri (il termine, spesso abusato, qui è pertinente) “mostri sacri” hollywoodiani, per la prima volta insieme (se non ricordo male), in un corpo a corpo dove l'arma bianca e la tattica di caccia hanno la meglio sulle armi moderne e tecnologiche, e persino sull'arte guerresca e militare in generale.
Ed i due super attori si impegnano, eccome se si impegnano: De Niro in sforzi fisici per nulla scontati per un uomo in salute ma non proprio giovanissimo (ma anche in gesti semplici o routinari come prepararsi da mangiare o lo stesso atto di cenare, affrontato senza finzioni o giochini mimetici , ma mangiando veramente, come un vero interprete che affronta la sua prova con lì'impegno e la professionalità che lo hanno reso unico; Travolta dal canto suo, volto tiratissimo e senza una scalfittura, capello nerissimo e rasato, govanile e più smagrito del solito, è abile a storpiare il suo inglese tradendo un accento che non sappiamo quanto verosimile possa essere, nel voler tradire discendenze balcaniche incancellabili, ma di cui notiamo ed apprezziamo gli sforzi e il tentativo di rendere la dizione del proprio personaggio un po' forzata, come sempre succede e circostanza che da sempre caratterizza l'idioma di uno straniero.
Peccato che un buon incipit teso e incalzante, seppur decisamente improbabile, si dissolva nelle frivolezze di storie di infelicità ed incomprensioni personali che affliggono il vecchio militare, lasciando invece un po' scarno e quasi nudo il personaggio tormentato e vendicativo interpretato da Travolta, che ancora una volta non sfigura affatto come “cattivo” motivato da cause di forza maggiore. Il duello all'arma bianca tra due contendenti ognuno con le proprie colpe addosso, avrebbe un suo perché e potrebbe persino emozionare.
Ma quel finale consolatorio e troppo fuorviatamente ed ingenuamente pacifista finiscono per rendere tutto l'insieme piuttosto indigesto o comunque per nulla convincente, a dispetto delle buone premesse di cui sopra.
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