Regia di Jeffrey Elmont vedi scheda film
I 5 migliori gruppi di ballo d’Olanda sono invitati a New York per competere alla prestigiosa battaglia di Broadway (dove, intanto, si spera che le squadre non arrivino perché la celebre accademia che dovrebbe accoglierle ha tutte le sale-prove occupate...); i contendenti già si scaldano breakkando come robot fluorescenti sulle scale mobili dell’aeroporto, quando un misterioso disguido organizzativo li blocca all’imbarco: gita cancellata, 5 intrepidi danzatori di altrettante crew si sganciano dalla banda e partono comunque. Senza un soldo, senza un background comune (legittimi i dubbi anche sulle competenze dei singoli), senza (ricordiamolo) una sala-prove (scelgono di allenarsi a Central Park, tra i cui alberi uno dei baldi giovani salta come un Tarzan epilettico: pare sia il suo stile di ballo). La premessa è così improbabile da farci sperare il peggio (un tripudio di coreografie mal filmate svincolate da ogni pretesto di coerenza narrativa, interpretate da corpi atletici di cui nessuno ricorderà la faccia). Purtroppo lo sceneggiatore non si rassegna alla sua funzione puramente formale e infila sottotrame drammatiche straniantemente scandite dalle hit d’un paio d’anni fa. Così l’ex proletaria si prostituisce per pagarsi il taxi, il figlio di padre ignoto trova un padre indesiderato, l’occhialuta maniaca del controllo ha una travagliata love story col macho del gruppo. Si esce dalla sala con nuove prospettive: fare capriole alla Matrix nella stanza da un metro quadro è possibile; gli spagnoli sono i più cattivi del mondo; vivere per un sogno talvolta non vale la pena.
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