Regia di Jeffrey Elmont vedi scheda film
Vivere per ballare. Ballare per vivere. L’idea ha fatto sognare tante generazioni, a teatro, al cinema e in tv. Ma basta un passo falso per fare a pezzi l’incantesimo. A portare noia e delusione può arrivare, ad esempio, un filmetto qualsiasi, tirato fuori dal cassetto nella speranza di indurre a qualche adolescente a resistere alla voglia di mare e la calura estiva, per chiudersi in un multisala a sgranocchiare popcorn e breakdance. Un’operazione che, al solo pensiero, mortifica la nostalgia dei più grandicelli per le eroiche e acrobatiche vicissitudini dei protagonisti di Saranno Famosi. La New York degli artisti in erba ritorna, ma non è più la stessa. Vi aleggia forse ancora il romantico spirito multietnico che, negli episodi della fortunata serie, intrecciava i destini e i cuori di afroamericani, ispanici, ebrei e cattolici, figli di lavoratori e figli di nessuno; però l’avventura non ha più quell’impagabile sapore della gavetta, non ha più l’odore del sudore con cui, da giovani, si comincia a pagare il prezzo del successo. Saranno ormai tramontati i tempi delle saghe dei pionieri, delle conquiste che assomigliano a lotte per la sopravvivenza: ma la difficoltà del crescere e la facilità nel commettere errori non possono comunque essere ridotti a semplici capricci che fanno colore. È pur vero che la sostanza esistenziale non deve necessariamente costituire l’anima dello spettacolo, ma, nel caso si decida di accantonarla, bisognerebbe ingegnarsi per trovarne un degno sostituto. Purtroppo qui la creatività è la grande assente, la musica vola basso, e lo show nemmeno inizia. Body Language – titolo falsamente intrigante e fastidiosamente pretenzioso – è mal diretto, mal recitato, mal ballato. Un autentico spreco di energie che cercano l’effetto e invece si perdono per strada. La storia di una sfida – la partecipazione di un gruppo di ragazzi olandesi ad un concorso chiamato Battle of Broadway – si trasforma in un estenuante percorso ad ostacoli che prevede di passare attraverso tutte, ma proprio tutte, le situazioni-tipo del musical di cassetta, quelle che, per intenderci, illustrano in maniera spicciola le solite cose stupide che si fanno per amore, per ambizione o per denaro. Perfettamente inutili risultano le occasionali digressioni verso la salsa e la pole dance: questi timidi diversivi nulla possono contro i pezzi forti della coreografia, ossia le prodezze di atletici corpi maschili, i vezzi di bellezze femminili imbronciate, la scena madre litigarella, e, non ultima, la pausa di riflessione ad alto contenuto melodico in cui ognuno fa pace col mondo e si prepara alla battaglia decisiva. La tensione sale, e contemporaneamente scema, screditata da una prevedibilità che non sbaglia un colpo. E quando il gran finale giunge, attesissimo e come da copione, ci sembra un botto col silenziatore: sarà che a furia di masticare lo stesso boccone, il gusto è andato a farsi benedire.
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