Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Una donna ucraina a Parigi (Olga Kurylenko), un nuovo compagno americano (Ben Affleck), la figlia di un amore perduto. Poi il trasferimento negli?Stati Uniti, il processo di comprensione di un’altra terra, di un altro paesaggio, il disgregarsi del sentimento di lui, l’ostinato persistere di quello di lei. Tentennamenti, tradimenti. Altre storie possibili. Andate, ritorni. E un sacerdote (Javier Bardem), che mentre i due interrogano il proprio sentimento, esplora la crisi del suo innamoramento per Dio, macerato nella crisi di un’America marginale, malata. E sempre, comunque, amata. Dopo il tracotante candore di The Tree of Life (sfregio produttivo a una macchina industriale e a un sistema divistico, kolossal ridotto a summa autoriale, a nudo discorso lirico, tra la confessione personale e l’ambizioso bignami filosofico), Terrence Malick lascia la cosmogonia per la fragilità di una storia maggiormente privata, dove gli ideali d’amore, di ogni possibile amore, guerreggiano con le secche della realtà, vi sprofondano, s’elevano: i problemi anche meramente burocratici di un’immigrata, lo stupro del Capitale sulla terra (non detto, c’è uno spinoff di Promised Land di Van?Sant, qui dentro), la marcescenza della crisi economica. Sono altre bestemmie, oltre a quelle amorose, che irridono ogni possibile fede. Perché To the Wonder è un film che si concentra sull’incontro impossibile tra due cuori, tra uomo e Dio, tra l’umanità e la meraviglia. Perché non c’è dialogo tra gli amanti, ci sono solo appuntamenti mancati (insieme grotteschi e tragici, risibili e commoventi), come tra i frammenti di queste storie e una narrazione coerente e lineare, come tra i corpi e le voci, tra un melodramma muto, a fior di pelle, e i verbosi monologhi. Tra la patina superficiale di un’estetica ormai manierata, pubblicitaria, e le questioni esistenziali poste fuori campo. Tra un film che è puro inno visivo alla luce e l’oscurità in cui si perdono le domande. To the Wonder, a cuore aperto, con tremore e stupore, con un’ingenuità che è un gesto di fiducia struggente nel cinema, tiene insieme il peso, la beltà e la miseria della terra e lo slancio aereo dell’idea: è l’atto d’amore per questi incontri impossibili, per la necessità di questi desideri frustrati, per la ricerca e per il suo fallimento.
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