Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Il cinema di Terrence Malick acceca.
Acceca perché, il suo, è uno sguardo utopistico, impossibile. È un voler fissare il tutto nella bellezza sublime dell’inquadratura, nel reiterarla ostinatamente. Saturare il vuoto (la sceneggiatura?) con il pieno (l’immagine?). Farsi esercizio barocco e ostentato, sfiancante e stordente. È un cinema timoroso, angoscioso, quello di Malick. E To The Wonder lo dimostra bene. Non v’è certezza, e se c’era (The Tree of Life), è stata perduta. Il racconto, ormai, è impossibile: è la sinfonia a farsi modello per narrare l’impossibile equilibro che dovrebbe reggere l’umanità. Un cinema che cercava nell’altro-da-sé - l’amore assoluto - la propria ragione. Un desiderio che è però negato, frustrato.
E quindi, cosa nascondono quelle immagini meravigliose? Da cosa cerca di sfuggire, Malick, attraverso il suo montaggio enfatico e ridondante? Dal vuoto, probabilmente. Ha ragione Aldo Spiniello nella sua bella recensione su “Sentieri Selvaggi” quando scrive che « è […] come se mancasse qualsiasi possibilità di contatto tra noi e Malick, tra il nostro desiderio e le nostre attese e la fuga di un regista sempre più rinchiuso nella solitudine ascetica della sua ricerca senza fine. Manca la trama, ci dispiace. Ma se il punto fosse proprio questo?» A To The Wonder manca sempre qualcosa: è una sensazione che striscia, che si insinua tra le immagini, mentre ci perdiamo tra di esse. È un cinema dello smarrimento, senza più risposte (ancora The Tree of Life): vertigine estatica ed estetica. Le parole si staccano irrimediabilmente dalle immagini, che Malick tende a “congelare”, fissare nel tempo: tempo che perde la sua valenza strutturale, per farsi, come in The Tree of Life, ineluttabilmente anacronistico. Ma qui, Malick, rinuncia alla cosmologia che aveva caratterizzato il film precedente: non fa raffronti tra l’incommensurabilmente grande (la nascita dell’universo) e l’incommensurabilmente piccolo (il nucleo famigliare). Il senso, in questo film, è impermeabile, sfuggente: non è una storia, è la sua impossibilità. È la bellezza del possibile e il terrore dell’impossibile. Malick, incredibilmente, riesce a far coesistere gli opposti.
Il cinema di Malick acceca, perché guarda, cerca, senza pudore, la meraviglia.
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