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To the Wonder

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su To the Wonder

di alan smithee
6 stelle

Tendere alla meraviglia, alla perfezione, partendo da un mondo così sviante e sviato, da una vita che fa della imperfezione e dell'errore una sua costante comportamentale. Terrence Malick sta forse attraversando una fase della vita in cui sente la necessità di cercare e quindi di ottenere spiegazioni sui misteri del creato, sulla fragilità della mente umana, sulla impossibilità di evitare errori o farsi indurre in tentazioni. Insomma sull' imperfetto, fugace e corruttibile percorso umano sulla Terra, tra insidie e tentazioni alle quali oggi è quasi impossibile rifuggire o sottrarsi. Già questa atmosfera di ricerca era plausibile e straripante nel precedente meraviglioso Tree of life, la cui storia portante subiva mille tentacolari deviazioni ispirate al corso degli elementi e alle remote origini quasi accidentali di una vita intesa come esistenza, forse imperfetta ma miracolosa e capitata per caso o per un intervento superiore: qui questo interrogativo diventa la ragione stessa del film, che perde ogni filo conduttore di trama e svolgimento per restare impalpabile e volare alla ricerca di verità che sono troppo alte perché l'uomo possa trarne spiegazioni convincenti ed appaganti. Non penso che tutto ciò sia frutto di un astuto calcolo commerciale, perché questo film è chiaramente un'opera intima e dallo scarso appeal commerciale, come ampiamente hanno dimostrato le baruffe e i fischi che hanno accompagnato e ancor più seguito la proiezione del film al Concorso veneziano. Un'opera che forse non sa dove andare a parare perchè è frutto di una ricerca interiore molto complessa da parte del suo autore, che nel seguire le vicende di un appannato e muto protagonista (un Ben Affleck completamente soggiogato alle direttive del regista e per questo ancor più sottomesso del già docile Brad Pitt che comunque aveva modo, nel film "gemello" e precedente,  a differenza di Affleck muto e stranito per tutta la durata della pellicola, di lanciarsi in spazi recitativi definiti, imponendo una sua presenza scenica che invece nel collega finisce per limitarsi a pura e muta coreografia) ci mostra le viariabili caratteriali di un uomo amante della vita, delle donne, ma in fondo buono e scrupoloso nel suo lavoro, positivo e tollerante, disposto ad accettare senza esitazione e come sua la figlia di primo letto della sua nuova fiamma ucraina conosciuta a Parigi e portata in America pur senza riuscire a condividerne la medesima lingua; un uomo combattuto, soggiogato dal dubbio e dalla tentazione del ritorno di un'amante che lo tenta senza mezzi termini (la biondissima Rachel McAdams), che prova ad aprirsi almeno davanti alle parole piene di speranza del giovane prete spagnolo (Javier Bardem) della sua parrocchia; parole rassicuranti le sue, apprezzate intimamente, ma che l'uomo non riesce a comprendere bene nel mistero dell'assoluto che racchiudono in sé. Il mistero di una fede che tende alla meraviglia, alla perfezione più alta ed immateriale, ma che è difficile condividere o percepire almeno un poco se si è uomini o donne giovani, belli e di successo, catapultati sulla breccia di un mondo ed una società che fa di questi valori esteriori ed effimeri il passaporto per un successo forse provvisorio pero' seducente ed irrinunciabile.
Terrence Malick è la regia, scrissi tempo fa a proposito di "Tree of life": ora dopo questo film sono sempre più convinto di ciò e l'opera, dal punto di vista della direzione, è un capolavoro di immagini e di bellezza: una perfezione che se è forse scontata o addirittura sospetta di banalità sugli scorci seducenti di un Mont Sant-Michel autunnale ed uggioso, diventa invece sconcertante e quindi autentica per la destrezza e la capacità di rendere bella ogni più banale rappresentazione della natura e dei luoghi circostanti, anche quelli più incredibilmente comuni o qualunque: un cespuglio nei pressi di una discarica, un tombino percorso da un rivolo di acqua piovana, una campo sorvolato sulle teste dei protagonisti immersi in un'amore in corso di manifestazione. Olga Kurylenko, già perfetta di suo, diviene eterna nelle immagini perfette che la seguono e la sorvolano incessantemente, mentre la sua voce fuori campo recita in francese (ed ognuno degli altri attori nella sua lingua madre, compresa Romina Mondello che appare dal nulla e nello stesso modo scompare) sensazioni e stati d'animo che ci piacerebbe comprendere e condividere fino in fondo. Cinque pallini ad una regia che diviene un sogno ellitico e virtuosistico come solo nostra mente dormiente riesce a rendere altrimenti esplicito pur se evanescente. La sintesi di un concetto di ricerca incessante di perfezione e meraviglia estatica che solo nel sogno riusciamo ad intravedere: nel sogno o sullo schermo dietro la regia di questo maestro ispirato e proprio per questo così difficile da seguire; due pallini ad una storia che purtroppo non c'è, o che esiste per ora solo nella mente di un regista che cerca di materializzare ed esplicitare con un certo coraggio un suo percorso di fede che noi poveri spettatori, troppo terreni e legati alla concretezza, fatichiamo a realizzare e a percepire appieno.

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