Regia di Nick Lyon vedi scheda film
Un virus si diffonde rapidamente sul globo, trasformando (quasi) l’intera popolazione in zombies e costringendo i pochi superstiti ad una dura lotta per sopravvivere.
Fatal fu la scelta, dovuta ad un attacco di nichilismo cosmico connesso all’intenso caldo casalingo agostano, che mi fece propendere per questo film rispetto ad “Headhunters” trasmesso su rai 4. Convinto, infatti, di rinfrescarmi le stanche cervici e ritemprare lo spirito afflitto con la visione di una classica carneficina ad opera degli inesorabili morti viventi, ho optato per quello che mi appariva come un B-movie ruspante e movimentato. Speranza purtroppo vana: già le prime sequenze (a parte l’introduzione, se non altro professionale, con immagini in flashback sul progressivo evolversi della pandemia), facevano comparire un involontario sorriso a mezz’asta sul mio viso alla visione della pochezza degli attori (?) coinvolti, che sembravano capitati per caso sul set magari convinti di partecipare ad un reality show sull’imperante “cannibalismo” mediatico della società moderna (l’unico volto noto era quello di Ving Rhames, comunque goffo e impacciato). All’apparire del procace donnone armato di katana, dal volto deciso e dalla coscia vigorosa alla Carolina Morace (o alla Sebino Nela), ho rimpianto le puntate della serie “The Walking Dead” e le scontrose grazie dell’afro-samurai Michonne, interpretata dall’almeno silenziosa Danai Gurira al contrario di questo garrulo esemplare (interpretata dalla comunque piacente Lesley-Ann Brandt). Presto declassato mentalmente (da B a Z-movie) il “rank” della pellicola, ho proseguito la visione tra banalità varie e dialoghi ridicoli fino all’aspetto che farà sprofondare inesorabilmente il film nella categoria “dopo la Z, usare la pala”: gli inguardabili effetti speciali. Un accenno inziale di tale sconcezza visiva l’avevo avuta nella prima zuffa con gli zombies, piccolo segnale della “falsità” palese della loro resa digitale. Il ridicolo cresceva invece con il passare dei minuti (anche le esplosioni soffrivano dello stesso problema di resa), fino all’apoteosi della caratterizzazione delle due tigri-zombies nel finale: per rendere l’idea di tale pochezza, provate ad immaginare i due felini come se fossero stati disegnati da una nutrito gruppo di bambini dell’asilo, prima della pennichella di metà mattina, e poi resi tridimensionali. Probabilmente uno (scarso) esperto di (scadenti) effetti digitali è costato alla produzione molto meno di un efficace costumista-creatore e truccatore. Giudizio finale serio(so): siamo al limite dell’inguardabilità cinematografica. Giudizio finale faceto: si consiglia la visione svagata mentre si fa un lavoro spiacevole (tipo le pulizie di primavera o altri “amati” lavoretti di casa), per percepire la vicinanza del regista, anch’esso impegnato in cose fuori dalla sua portata in palese contrapposizione con una delle regole auree del “guru” Homer Jay Simpson: “fare qualcosa è il primo passo verso il fallimento”.
Scontata.
Pessima.
Spaesato.
Piangente.
Animalista.
Marmoreo.
Urlante.
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