Regia di Dominga Sotomayor Castillo vedi scheda film
Voglio dormire per sempre (cit.)
Un film atipico ed originale, che inizia come un road movie di una normalità disarmante, mostrandoci una famiglia sudamericana (cilena) che intraprende un viaggio, apparentemente di piacere; nella singolare e calorosa modalità che tutti da bambini abbiamo adorato (e che la modernità tecnologica ha gradualmente annullato): la macchina stracarica, i sonni emozionati tra coperte riscaldate dalla novità, i giochi e i canti per passare il tempo.
E si trasforma invece, come tipicamente accade nei racconti di viaggio, in una scoperta di se stessi (e degli altri), in questo caso l’ingresso della preadolescente Lucia nel (doloroso) mondo degli adulti. Non senza difficoltà, come tutti i riti di passaggio.
E con tanta voglia di “restaurazione”, perché è bello essere inconsapevoli delle complesse problematiche della vita matura, ed essere ancora felicemente “prigionieri” della gabbia dorata della fanciullezza, dei suoi balocchi e della sua spensieratezza. Una bolla che si vorrebbe eterna, che spesso non fa capire le naturali tensioni esistenti nei rapporti umani. Che però iniziano ad incrinare la realtà familiare, insinuandosi repentinamente con sguardi e discussioni mute, per i bambini che guardano senza capire, confusi. Caos emotivo che attanaglia anche gli adulti, con altre modalità, non sempre percepibili grazie alle “barriere” sociali che questi hanno avuto modo di costruirsi nel corso degli anni.
La forma registica scelta, apparentemente ferma, segue delicatamente l’evolversi degli aspetti emozionali, senza invadere il tappeto scenico di comportamenti “abitudinari” e facendo della staticità accentuata l’elemento portante della sceneggiatura. Una ripetitività (come in quasi tutte le azioni della vita umana) che, con l’uso prevalente di più o meno lunghi piani sequenza, segue (nell’idea della regista) il faticoso arrancare della consapevolezza dei protagonisti (al livello di azione cinematografica, come già detto, non accade praticamente nulla); questi ultimi efficacemente tratteggiati dagli interpreti principali, molto spontanei nella loro normalità e naturalezza. La giovane regista è parimenti abile nell’esemplificare un racconto di formazione in maniera discreta, che fa della lentezza la sua caratteristica principale, a tratti troppo insistita, ma alfine funzionale all’impianto generale della pellicola: un brusco (ma armonioso) risveglio dal sogno illusorio dell’infanzia.
Perché lasciare un letto caldo, per uscire, non è mai piacevole. Ma è bello farlo tra le braccia di tuo padre.
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