Regia di Dominga Sotomayor Castillo vedi scheda film
Il mondo visto dal finestrino di un auto è più grande di quello che si crede.
Dominga Sotomayor Castillo è un nome sconosciuto al pubblico: regista cilena che ha già al suo attivo diversi cortometraggi, si cimenta nel film di finzione attraverso la traversata in automobile di una coppia con due bambini.
Racconto di formazione e al tempo stesso cronaca della fine di un amore, "Da jueves a domingo" è girato, in pratica, tutto nell'abitacolo di una station wagon; nonostante alcune fermate obbligatorie che sono le tappe dell'esistenza stessa e che mettono in luce, attraverso significative metafore (pur espresse in azioni e non, come ci si aspetterebbe in termini onirici) il difficile viaggio della vita, la storia appare convinta e sincera, ma paga la parte centrale, piuttosto lenta e pesante, che si riscatta con un finale aperto e ricco di riflessioni: può un matrimonio finire ? E può al tempo stesso continuare ? Perché è questo che desiderano i due coniugi: trovare un modo di terminare la propria storia e continuarla, non solo attraverso la prole ma attraverso ciò che hanno vissuto insieme.
Anima della storia è la piccola Lucia (Santi Ahumada), testimone inconsapevole della fine dell'evento matrimoniale dei suoi genitori Ana (Paola Giannini, protagonista di telenovelas) e Fernando (Francisco Perez-Bannen, notissimo in patria, pressochè ignoto in Europa): attraverso gli occhi, lo sguardo, i sogni orrbili che la piccola racconta al padre, nei quattro giorni che compongono il viaggio, come ci indica il titolo, la bambina comincia a diventare donna. Accoglie il dolore della separazione dei genitori, che pur non comprende, mentre il fratellino Manuel (Emiliano Freifeld) coglie solo il lato evasivo del viaggio, senza poterlo restituire. Vero motore della storia, Lucia, che scruta il paesaggio - monti, fiumi, una sosta per un veloce bagno, un'altra per incrociare lo "spirito di un uomo morto tra le rocce" - resta accanto al padre nel meraviglioso finale, quando la madre si perde volontariamente e la famiglia decide di cercarla. E' in quel momento che il film prende forza, non ti molla e svela la necessità, l'urgenza della regista di raccontare: non è poi così difficile innamorarsi, sposarsi, persino far terminare una storia; ciò che è difficile è viverla. La forza dell'opera, le cui musiche sono inserite all'interno di una colonna sonora fatta di suoni, rumori, clacson, motori e animali (simbolica la venuta dei maiali sul luogo del campeggio) e spesso suonate in diretta dagli attori , è nei lucidi piani sequenza in cui la direzione degli interpreti e la costruzione scenografica appare impeccabile. Un gioiello costruito con pochi fondi, teso ancora una volta a ricordarci quanto ci sia un cinema, lontano da noi, eppure vivo, forte, grondante di significati.
La potente carica drammatica della storia, che pure si esplica in pochi dialoghi, alcuni certamente improvvisati, ci ricorda il nostro necessario attaccamento alla vita, anche quando ci sembra di non potercela fare, di non riuscire a respirare.
Soprattutto, ci ricorda che per vivere occorre coraggio.
Incantevole.
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