Regia di Dominga Sotomayor Castillo vedi scheda film
Sbarcando il lunario da gita fuori porta attraverso la finta limitazione di inquadrature fisse in campo medio, la giovane Sotomayor agita il sospetto che quell'ultimo viaggio che strappa il figli al sogno, possa rivelare nelle interdizioni dei dialoghi e nell'eloquenza dei gesti il tacito testamento di un requiem familiare di amore e di abbandono
Partita insieme ai genitori ed al fratellino più piccolo per un viaggio in macchina durante il weekend, la giovane Lucia capisce ben presto che quella sarà l'ultima occasione di un'armonia familiare e di un momento della sua vità che non torneranno mai più.
Se il cinema latino americano ci aveva abituati già da tempo alle riflessioni naturaliste sulla crisi di valori e di identità della famiglia borghese (La Cienaga, La Nina Santa) piuttosto che alle pulsioni edipiche di adolescenti a bordo vasca in vacanza con mammà (Club Sandwich), questo dramma di formazione on the road dell'esordiente Sotomayor si inserisce a pieno titolo in quella categoria dello spirito cui ambiscono le rappresentazioni di un'età di passaggio in cui la crescita e la maturazione di una maggiore comprensione del mondo si accompagnano inevitabilmente alla consapevolezza della irrimediabile perdita della propria giovinezza; croce e delizia di uno stato di grazia in cui l'intuizione che passa sotto silenzio è una folgorazione che non ha bisogno di parole e che si conferma puntualmente nel sogno ("Le illuminazioni sono come accendere la luce in una stanza disordinata [...].Mi venne un pensiero, quei pensieri notturni che si affacciano come necessità e si intitolano da soli" - Mignon è partita). Sbarcando il lunario da gita fuori porta che si rivela attraverso la finta limitazione di inquadrature fisse in campo medio, a volte lungo e raramente lunghissimo, la giovane Sotomayor agita il sospetto che quell'ultimo viaggio che strappa il figli al sonno ed al tepore di un focolare domestico che non sarà mai più come prima, possa rivelare nelle interdizioni dei dialoghi e nell'eloquenza dei gesti il tacito testamento di un requiem familiare che compone il suo mesto rituale di amore e di abbandono; abituando la prole alla promiscuità di una nuova relazione ed all'elaborazione del lutto di una separazione paterna tanto programmata quanto inevitabile. Pur nell'apparente coralità di una descrizione di distaccato realismo che ne coglie gli aspetti di conflitto e di condivisione, il punto di vista della sua camera finisce per mettere a fuoco quello della giovane figlia maggiore, vera destinataria dei segnali di una debacle genitoriale che si compone delle fragilità materne (la paura di invecchiare, la voglia di ricominciare) e delle responsabilità paterne (le lezioni di guida, l'eredità di un fondo avito), cogliendo nel segno di un ritratto dell'età di passaggio in cui la delicatezza dei sentimenti si accompagna alla capacità di lasciarli passare sempre e comunque sottotraccia. Un dramma familiare insomma che si avvicina alla verità rifuggendo gli eccessi del melò, per concentrarsi piuttosto sulla banalità di un distacco in cui la tristezza ed il senso di abbandono sono le inevitabili dimensioni con cui confrontare la propria esperienza di vita. Forse votato eccessivamente ad una cifra minimalista che ne costituisce l'essenza programmatica, si rinfranca in un finale di spazi più aperti e di più liberi movimenti di macchina (persino un dolly indietro ed la camera a mano! Ma dura giusto qualche sequenza) e nella valida resa di attori che assecondano con credibilità e naturalezza il realismo della storia. Bravissima e bellissima la giovanissima Santi Ahumada.
Viaggio alla fine di un sogno: dove un attimo prima c'era una famiglia, ora solo il deserto.
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