Regia di Harmony Korine vedi scheda film
Spring Breakers di Harmony Korine è un film che stordisce, seducente, estatico, sorprendente. E scivoloso. Soprattutto per chi guarda.
Un film che si ama o si odia, senza mezze misure? Attenzione. State sicuri che lo spettatore un po’ superficiale (e, diciamolo, anche moralista: e sono in maggioranza!) non perderà neanche questa volta l’occasione per parlare di pornografia (!) – chiamerà subito in causa Mtv e l’estetica “derivativa” dei videoclip (tutto questo, naturalmente, con un tono dispregiativo!) – addirittura ci sarà chi riesumerà la parola Kitsch (purtroppo usata ancora con un’accezione negativa) e, con geniale cattiveria, descriverà il film come una furba «operazione mediatica» (d’altronde, c’è tutta quella musica pop, il budget di quasi dieci milioni di dollari, le attrici di buon nome famosissime, James Franco…). Pochissimi invece i critici “illuminati” che tireranno in ballo l’ultimissimo Malick, al quale sicuramente Korine deve aver guardato, almeno per la scrittura subliminale, intensa, intimamente poetica di questo Spring Breakers (il paragone con To The Wonder è avanzato anche da Roberto Silvestri, che scrive sul Manifesto: «Pochi dialoghi. Voci off che carezzano le sequenze, oblique e scucite rispetto alle immagini, un racconto che procede come una suite-jazz, non ritornello-aria-ritornello, piuttosto chiazze emozionali a movimento sotterraneo»).
In effetti, se ne sono lette di tutti i colori su questo Spring Breakers di Korine (comprese le lodi dei Cahiers du Cinéma, che gli dedicano la copertina della rivista). Eppure, basta superare lo sconcerto iniziale, quei ralenti «fastidiosi», e mettersi alle spalle qualche pregiudizio, per apprezzare la straordinaria potenza formale, direi sperimentale, del film di questo cineasta “maledetto” (suoi gli script dei film-scandalo Kids e Ken Park), autore finora di film che mi dicono molto belli (e che non vedo l’ora di recuperare), apprezzati da registi importanti (Herzog, Reygadas) e puntualmente disprezzati da buona parte della critica.
Infatti, chi si aspetta un film per teenagers, o anche un film pop-tradizionale, da digerire nell’immediato, rimarrà deluso: Spring Breakers, nonostante la patina glamour, che c’è, non ammorbidisce per niente la cifra stilistica di un cineasta duro, indipendente, inclassificabile. Magari la colora, la tira a lucido, e la rende solo apparentemente consumabile (aiuta molto la fotografia eccezionale di Benoit Debie, collaboratore di Noé: e certe immagini del film non a caso ricordano molto Enter The Void) – perché il film, è questa la sua straordinarietà, si liquefa davanti ai nostri occhi, si affida a impensabili rime visive, voci off, frantuma la narrazione attraverso l’iterazione ossessiva delle situazioni, delle parole, dei gesti, e crea un’atmosfera ipnotica, soltanto in apparenza grottesca perché, se si guarda più in profondità, si sente l’angoscia di un sentire alla deriva, di un’estetica affascinante ma irrimediabilmente condannata all’involuzione, al naufragio. Il male di vivere, in Spring Breakers, luccica, è bellissimo da vedere. La normalità, invece, fa paura, annoia.
«Nel film le cose si ripetono spesso perchè volevo che fosse un'esperienza fisica, una narrativa liquida fatta di microscene che si ripetono in loop, una cosa un po'allucinata e trascendentale, in modo che sia più vicina strutturalmente alla musica pop o elettronica con i suoi sample, con i chorus e con elementi catchy che ti seducono e ti acchiappano. Volevo immagini che arrivassero dal cielo per poi tornare indietro. Del resto i personaggi di un film esistono in questa dimensione, quella del sogno, ed esistono al di là del bene o del male. Quello che ho cercato di fare è stato trattarli così, al di là del bene e del male. Non volevo giudicarli» (Harmony Korine)
Amorale dunque? Forse. In Spring Breakers, Korine assume un atteggiamento sicuramente problematico, non distaccato. Come le sue quattro protagoniste, è affascinato e respinto da quest’orgia esplosiva di colori, musiche, sensazioni, è catturato dalla possibilità di perdersi nel nulla e nel tutto – vorrebbe scappare, ritrarsi, oppure abbandonarsi completamente, non tornare più indietro. Toccare il fondo. Fermare l’attimo. Spring Break(ers) per sempre.
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