Regia di Sofia Coppola vedi scheda film
“Andiamo a fare shopping!”. A Bari, come a New York, a Mosca come a Pechino, di baby gang che vanno a far compere ce n’è di tutti i gusti ed età. E’ un fenomeno crescente, ad ogni latitudine, quello dei piccoli gruppi di adolescenti, magari di famiglie abbastanza tranquille, o addirittura “senza alcun precedente”, che vivono con la spensieratezza della loro età, i furti, le rapine, la frequenza di luoghi da cui dovrebbero restare alla larga, l’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti, ecc. Si tratta di adolescenti, ma non solo, ossessionati dalla celebrità. Gli stessi che racconta Sofia Coppola, ricostruendo la storia di cronaca reale, di cui si è scritto, a suo tempo, sulle pagine di Vanity Fair. Infatti, in una Los Angeles ossessionata dalla celebrità, un gruppo di adolescenti, quelli della banda “The Bling Ring”, si abbandona in una folle sequenza di crimini, sulle colline di Hollywood. Assillati dal glamour e dal lusso delle star, utilizzando Internet, per scegliere di volta in volta le celebrità da colpire, i quattro ragazzi riescono a fare incetta di beni di lusso per oltre 3 milioni di dollari. Tra le loro vittime: Paris Hilton, Orlando Bloom e Rachel Bilson. Sofia Coppola ci riporta nelle sue dimore dorate, ma questa volta non più in quelle di Versailles della reginetta post-punk (Marie Antoinette 2006). Le gabbie nelle quali sono intrappolati i quattro adolescenti del film sono le stesse delle famiglie di cui ci ha sempre raccontato la Coppola, e noi spettatori, sin dal suo primo e bellissimo film (Il giardino delle vergini suicide 1999), abbiamo accostato quelle famiglie alle stesse che Sofia conosce bene, anch’essa cresciuta in una famiglia di grandi cineasti. Inoltre, già in Somewhere (2010), la Coppola si era riavvicinata al vivere quotidiano dei protagonisti dello spettacolo, rinchiusi in gabbie-auto. Questo suo nuovo e importante film, ce ne mostra tante di gabbie, da quelle in carrellata, all’inizio del film, a quelle in campo lungo e poi lunghissimo, ma anche mostrate nei loro dettagli, le case losangeline, che rinfrangono le loro luci, ma anche la loro desolazione, con parchi e garage dalle smisurate misure. Ci si perde, dentro e fuori quelle stesse case. Allo stesso modo, spesso si ha la sensazione che esse risultino come delle vere e proprie prigioni. Le estenuanti riprese delle telecamere a circuito chiuso nelle ville dei vip provocano claustrofobia. Finanche i corpi delle star risultano la gabbia in cui la regista intrappola la bellezza e lo star system: all’inizio del film, nel club vip frequentato dalle adolescenti, compare l’attrice feticcio Kirsten Dunst nei panni di se stessa. E’ interessante come l’uso della macchina da presa, specie nella prima parte del film, sia molto documentaristica, adagiandosi, nella seconda parte, in un tempo più dilatato, ma che ricalca fedelmente le vicende di cronaca tratte dall’articolo di Nancy Jo Sales per Vanity Fair. Le sue protagoniste e l’adolescente che fa parte della compagnia, sono molto simili a quei giovani di cui ogni giorno i quotidiani raccontano, attraverso la cronaca nera: cleptomani, iperattivi a scuola e apatici a casa, annoiatissimi acchiappavizi di chi dovrebbe educarli ad altro. Perché anche nel caso dei protagonisti di The bling ring, e come nella vita reale, a fare da contenitore formativo, non sono i genitori, la scuola, le belle compagnie degli amici. A dettare legge sono i social network, la tv, le case vuote e disabitate da genitori che, lì dove sono presenti, son ridotti a figure diseducative, piuttosto preoccupate dell’apparente educazione preghiera-colazione--lezioni “sullo sviluppo del carattere”. In realtà, a caratterizzare tutti, giovani e adulti, ci pensa l’alienante vita, sottraendo ad ognuno l’unico vero interesse per il tempo feriale e non la preoccupazione del tempo sempre da festino, l’unico che s’insegue. In alcuni paesi i festini e i loro tempi dettano finanche le agende politiche… Il meccanismo, tipico delle tv commerciali (e ahimé anche di quelle per cui si paga il canone!), di attrazione/repulsione, alla fine del film, lasciano lo spettatore spiazzato, incollato alla sedia e nella gabbia buia di una sala, dove spera non si accendano mai le luci, perché lo costringerebbero ad accorgersi che, al ritorno a casa, potrà incontrare, questa volta, sul suo piccolo schermo, una vip di bassa lega, meteorina, vallettina, olgettina, che chiude il gran cerchio delle nostre gabbie/vite, come si racconta nel finale di almeno una delle protagoniste. E lo show must go on…
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