Regia di Mikael Håfström vedi scheda film
L’accoppiata Stallone-Schwarzenegger, prolifica più che mai, torna in una di quelle pellicole tutte uguali a se stesse, che da “I mercenari” in poi ha ridato nuova linfa (in termini di pellicole e a quanto pare di incassi) ai vecchi machi del grande schermo. Qui Stallone è un collaudatore di carceri (idea che da sola meriterebbe di chiudere anzitempo la visione), che arrivato in una prigione di massima sicurezza, ipertecnologica e concepita nella pancia di un immenso cargo, fa comunella con un misterioso detenuto (Schwarzenegger), con cui capisce di essere stato tradito e di dover scappare seriamente, dovendo superare la ritrosia del direttore del carcere (Jim Caviezel). Il finale, che dovrebbe essere a sorpresa, nulla toglie e nulla aggiunge ad un film che nasce da un’idea balzana e si sviluppa in maniera altrettanto inverosimile, con punte di imbarazzo perfino per gli attori, abituati, specie negli ultimi periodi, a lavorare ben sotto la linea della dignità personale e professionale.
Per lunghi tratti, durante la parte iniziale, sembra assistere ad un remake di “Sorvegliato speciale”, con Caviezel al posto di Sutherland e Stallone con 30 chili in più che arranca nelle scene di azione. A non guardarlo non ci si perde niente, se non l’ennesima riflessione sull’annosa questione se è meglio, ad un certo punto della carriera, sparire con dignità o proseguire con la sicumera un po’ menefreghista di un’anziana battona.
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