Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
“Oggi, stiamo cancellando l’apocalisse !”
La visione di “Pacific Rim” mi ha trasportato in una “breccia” temporale: un’arcadia fanciullesca (fine 70‘, inizi 80’), principalmente scandita, nei momenti casalinghi, da ritmi cartooneschi cioè dagli orari dei vari appuntamenti con i robot preferiti. I vari Mazinga e Astroganga o le infinite lotte contro gli invasori alieni di Goldrake e Jeeg Robot, seguite da discussioni con gli amici su chi dei due fosse più forte, tra un calcio al pallone e l’altro nel campetto sotto casa.
Effetto nostalgico probabilmente voluto dagli autori, lo stesso regista e lo sceneggiatore Travis Beacham, per catalizzare l’attenzione sia del pubblico “vintage” che delle nuove fasce giovani di spettatori sensibili alle tematiche fantascientifiche. Con un risultato, almeno per chi scrive, non completamente convincente. La trama, in particolare, risulta eccessivamente semplicistica, pur non essendo fondata su una fonte fumettistica in particolare ma più che altro su un amalgama di situazioni abusate del panorama dei cartoon giapponesi, e procede automaticamente come un episodio di un paio d’ore di uno dei citati robottoni televisivi. Circostanza che non ha rallentato gli incassi (i quali hanno abbondantemente doppiato il budget-monstre di 190 milioni di dollari) e che ha dato anzi spunto ad un immancabile sotto-prodotto della Asylum (Atlantic Rim [sic!]) e, paradossalmente, ad una graphic-novel scritta dallo stesso Beacham.
Situazioni molto stereotipate, dicevamo, di una stanca storia di caduta e riscatto raccontata dagli stentorei dialoghi, sempre urlati, pronunciati da protagonisti “fumettosi” nella propria plasticità interpretativa: il predestinato novello Actarus interpretato da Charlie “Jax” Hunnam, il duro mentore Pentecost (Idris Elba) e la spalla femminile Mako (Rinko Kikuchi). Legnosità di resa attoriale umana che viene però riscattata dal vero punto di forza della pellicola: l’emozionante e spettacolare resa dei numerosi scontri Jaeger-Kaiju, per fortuna non “meccanicamente” spossanti come quelli tra Transformers, ma ben dosati per durata e visivamente potenti anche grazie alla forse unica idea originale della sceneggiatura: la necessaria commistione mentale uomini-macchina per far funzionare i robotici alfieri umani, però apparentemente sempre un passo indietro alla perfezione biologica dei mostri alieni. Che, innatamente, si evolvono molto più velocemente della tecnologia terrestre.
Questi aspetti, unitamente ai personaggi degli scienziati pazzi Geizler e Gottlieb ed al gustoso (mediamente) lungo cameo di Ron Perlman, alzano per fortuna la soglia di godibilità del film, traghettando lo spettatore senza patemi al finale atteso.
Comunque, era meglio il cartone animato.
P.S.: e, ovviamente, era più forte Goldrake !
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