Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Sarebbe cosa buona e giusta se ottimo intrattenimento come Pacific Rim 3D potesse essere giudicato entro i limiti che il film stesso dichiara. Senza inutili ideologismi retrosinistroidi o scandalizzati integralismi di retroguardia. Da amante delle mitologie popolari e pop, Del Toro rielabora e ibrida, con il plusvalore della sua sensibilità latina, sia i film di mostri giapponesi (i kaiju-eiga) appunto sia i cartoni di Go Nagai (Goldrake, Jeeg robot d’acciaio, Mazinga ecc.). Kaiju vs. mecha. L’uovo di Colombo, verrebbe da dire. La differenza, e il valore dell’operazione, sta nel rispetto che il regista porta ai materiali di partenza. Del Toro realizza il film che (no)i ragazzini alla fine degli anni 70 sognavano davanti alle sagome bidimensionali dei primi cartoni nipponici, esplicitando la promessa di futuro contenuta in quelle immagini. Nessun tradimento. Che nel futuro (nostro) ci fosse Pacific Rim, l’abbiamo sempre saputo. L’immagine è un campo di battaglia, sostiene Georges Didi-Huberman e Del Toro mette in scena i cantieri operai più realistici mai visti in un blockbuster (senza contare l’opposizione analogico-digitale). Anche la guerra è il risultato di un lavoro. Così, quando Gipsy Danger trascina un transatlantico per le strade di Hong Kong e lo usa come una mazza da baseball sulla faccia del mostro di turno, ci crediamo senza battere ciglio. Quel robottone lì l’han costruito operai veri. L’abbiamo visto con i nostri occhi.
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