Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Goldrake contro Godzilla, megasauri extraterrestri combattono contro robottoni antropomorfi guidati da umani posizionati nel cranio, come nei vecchi cartoni giapponesi degli Anni 80 che hanno inaugurato l’invasione delle anime nipponiche sul teleschermo e nell’immaginario europeo. Ben più serio del Michael Bay dei diversi Transformers, giocattoloni superficiali analoghi solo per dimensioni e aspetto meccanico, Del Toro pone un freno al proprio estro fantastico per concentrarsi sulla narrazione, adeguarsi alle psicologie del fulcro umano dei giganti di metallo, quei piloti che li abitano e agitano, muoiono al loro interno mentre i governi cercano qualsiasi desiderata soluzione per arginare l’anomala invasione aliena. Provenienti dal mondo sotterraneo come i tripodi della Guerra dei mondi di Spielberg (ma da una falda interdimensionale), gli extraterrestri mirano a conquistare il pianeta dopo averlo assaggiato ere prima, ai tempi dei dinosauri, quando era ancora inadatto al trasloco. L’abuso umano l’ha pero reso nei secoli perfettamente compatibile con le loro forme di vita e poco sembra possibile fare per arginare lo strapotere dei sauri corazzati. Largamente influenzato da Godzilla per le dimensioni e la natura dei mostri, per la potenza della fissione atomica che muove gli Jeager, gli Über-Mensch robotici, e la traccia di elementi giapponesi sin dal nome stesso attribuito agli invasori (Kaiju) e la presenza di una pilota del Sol levante, Pacific Rim mette in scena una società in crisi, economica quanto militare, assediata da forme di vita ignote che ne devastano le città mietendo vittime e provocando distruzione. Metafora delle moderne condizioni dell’Occidente, Pacific Rim insinua la necessità di alleanze sovranazionali che rinuncino ai profitti per un bene comune, facilmente e visibilmente identificato nella stessa sopravvivenza della razza umana, graficamente rappresentato dall’aspetto post-bellico del passaggio degli “Über-Tier” nelle città. Tra soldati semplici e operai, le prime file della difesa dell’umanità sono costituite dal sotto-proletariato, mentre i governanti e i potenti rimangono dietro agli schermi televisivi da cui impartiscono ordini e direttive, in un empireo prudentemente lontano dal campo di battaglia. L’estetica steampunk di macchinari ideati da scienziati reietti, ereditata dal proprio cinema, permette al regista di concentrasi sulla materialità degli elementi, sulla creazione che nasce dalla giustapposizione di apporti disparati ed estranei che sembrano funzionare quasi per meravigliosa casualità, assemblati alla rinfusa come il gruppo di temerari chiamato a difendere il pianeta. Tra echi visivi di Blade Runner (città sempre orientali nel chiaroscuro di notti illuminate dal neon) e nessun rimando ai Transformers, Pacific Rim propone una lotta per arma interposta tra due civiltà nemiche, tra gli umani feriti e sporchi in città distrutte e società allo sbando e alieni di cui vediamo uno sguardo fugace nel momento della consapevolezza della sconfitta. I megasauri clonati e modificati per adattarsi alle rappresaglie terrestri e le sovrastrutture meccaniche azionate da piloti sofferenti sono esseri sacrificabili, eterodiretti per il miglior sacrificio che possa portare alla vittoria collettiva finale, alla supremazia sull’avversario. Esasperazioni di un’univoca volontà di vittoria, le macchine e gli animali da battaglia sono carne da macello e da cannone, per quanto evoluto, protesi e massa offensiva adibiti a spianare o a proteggere il terreno secondo le regole del corpo al corpo. Perché nell’evoluzione tecnologica che porta alla loro costruzione, sauri e robot sono solo estrapolazioni di una ferina lotta per la vita vista secondo una scala sovrumana che rimanda alle peggiori istanze aggressive dell’essere senziente. Pacific Rim è una versione anabolizzata di Real Steel in cui il ring è diventato la città e la dimensione dello scontro abolisce l’immarcescibile denaro per sostituirlo col suo sinonimo più metaforicamente elegante, la sopravvivenza. Blockbuster polemico, Pacific Rim sceglie la stereoscopia ma la contrae alle più modeste proporzioni di uno schermo televisivo, quei 16:9 che si confondono con i servizi dei notiziari che raccontano, in flash-back, le successive ondate invasive dei sauri e le risposte umane, con il consueto racconto in voice over di Del Toro che introduce al presente narrativo. Come se anche il cinema, per quanto artefatto dalla manipolazione digitale e spettacolare, si adeguasse al livello quotidiano dei suoi protagonisti (e la macchina da presa è quasi sempre all’altezza del terreno), valorosi perché spinti dalle circostanze e sacrificabili per necessità, al loro dolore e sudore, alla sporcizia che diventa sangue nell’arena dello scontro. Quello stesso scontro che si fa entertainment ma che non vuole dimenticare la natura fragile dei suoi eroi.
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