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Pacific Rim

Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film

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La recensione su Pacific Rim

di giurista81
8 stelle

Dopo cult assoluti a budget contenuto come Il Labirinto del Fauno del 2006 (13 milioni e mezzo di dollari) e La Spina del Diavolo del 2001 (4 milioni e mezzo di dollari) e i commerciali high budget Hellboy (66 milioni di dollari) e il suo sequel The Golden Army (85 milioni di dollari), girati rispettivamente nel 2004 e 2008, Guillermo Del Toro torna al cinema con un giocattolone da 180 milioni di dollari (30 milioni di più del primo Transformers e appena 50 milioni di meno di Avatar) che omaggia il genere kaijù (non a caso i mostri del film si chiamano proprio così) inaugurato nel 1954 da Godzilla diretto dal grande Ishiro Honda, uno dei più importanti collaboratori di Akira Kurosawa, che nel tempo libero creò un vero e proprio genere con tutta una serie di film.

Al tempo stesso, Pacific Rim è un omaggio alle saghe cartoon dedicate a tutti quei robottoni che si muovevano in base ai pensieri e alle contrazioni muscolari dei loro piloti. Infatti, vediamo due piloti entrare in interconnessione mentale e guidare questi bestioni grandi più di un grattacielo, muovendosi loro stessi all'interno della cabina di pilotaggio.

La visione è un vero e proprio spettacolo grazie a degli effetti speciali veramente ben fatti tanto da guadagnarsi vari applausi dagli spettatori presenti in sala. Del Toro propone una lunga serie di combattimenti tra robot giganteschi e di vario tipo contro mostri alieni dalla testa di squalo martello, anch'essi di vario tipo, provenienti da un'altra dimensione e usciti, in serie, da un portale dimensionale aperto nel profondo dell'oceano pacifico (chiaro omaggio a H.P. Lovecraft reso ancor più manifesto dall'aver voluto collegare, in modo non approfondito, questi mostri agli antichi dinosauri e dunque dall'averli definiti implicitamente come “i Grandi Antichi”).

Ottimi i momenti di puro horror che raggiungono l'apice nella sequenza incubo girato in stile Matrix, quindi con personaggi esterni che interagiscono con le immagini partorite dalla mente del diretto interessato per cercare di farlo riprendere, vissuto dal personaggio interpretato dalla brava Rinko Kikuchi (capelli mesciati di azzurro). Bella dal punto di vista dell'atmosfera, anche se non troppo originale (qualcosa del genere si era già vista nel pessimo Godzilla di Emmerich e in Cloverfield) e poco comprensibile sotto il profilo logico-conseguenziale, la sequenza ambientata in un bunker assaltato da un mostro con un gruppo di uomini urlanti.

Purtroppo l'eccelso lavoro nella messa in scena (freddissima e patinata la fotografia) viene un po' ridimensionato da una sceneggiatura decisamente banale e semplificata (il collegamento mentale con la creatura aliena grazie al quale gli scienziati capiscono tutto non si può vedere), oltre a essere affetta da vuoti narrativi (come si forma la frattura oceanica? Perchè l'esperimento del medico con un brandello di cervello dei mostri rende più aggressivi gli stessi?) e infarcita da omaggi e talvolta da scopiazzature vere e proprie. Il finale, a esempio, è una copia spudorata dell'epilogo di Independence Day con tanto di stesse inquadrature e modificato unicamente dalla location degli abissi, con fuga – ripresa pari pari dal b-movie La Creatura degli Abissi - con scialuppe di salvataggio (a prova di bombe nucleari) sparate a folle velocità in superficie senza fare alcuna decompressione. Anche l'elemento della simbiosi mentale tra due personaggi non è affatto originale, ma ripreso dal b-movie Dreamscape dei primi anni '80.

Oltre a tali aspetti si registra un taglio da anni '80, con i russi e i cinesi (stereotipatissimi) che muoiono in modo telefonato, con i due protagonisti decaduti (entrambi complessati da eventi traumatici) che ritornano a essere grandi e si innamorano l'uno dell'altra, epilogo con il protagonista che sembra morto e poi invece è bello arzillo giusto per ricevere le attenzioni della compagna di avventura... Insomma, cose che si sarebbero potute evitare.

I personaggi sono caratterizzati in modo sufficiente, eccetto i quelli riservati a Ron Pearlman (purtroppo solo un cammeo il suo, ma assai gustoso e tamarrissimo con tanto di dentiera d'oro, scarpe d'oro, vestito fucsia e coltello a scatto d'oro) e ai due strampalati scienziati che litigano per tutto il film riservati agli ottimi Charlie Day e Burn Gorman (senz'altro i più in palla della compagnia). Stereotipati gli altri, a partire dal duro dal cuore tenero Charlie Hunnam.

Buona la regia in virtù di un ritmo serratissimo. A differenza di Transformers i combattimenti si vedono bene (bello quello con la creatura alata sventrata in pieno cielo dalla spada di un robottone) anche se scimmiottano la saga di Bay con la distruzione totale di Hong Kong (meno male che i nostri avrebbero dovuto difenderla). Bello anche vedere questi robottoni che corrono in pieno oceano per metà avvolti dalle acque. A tal riguardo è strepitoso e spettacolare il prologo in mezzo ai ghiacci dell'Alaska con una nave in balia di un tormenta provocata da uno dei tanti combattimenti tra i giganti contrapposti.

Non si può invece vedere la sequenza con un robottone impallato in mezzo all'oceano, con i due piloti che decidono di uscire dalla cabina di pilotaggio per sparare dei razzi di emergenza in pieno volto al mostro che si aggira lì intorno: “lo abbiamo fatto incazzare” commenta poi uno dei due!? Geniale!

Tutto questo per dire che con una sceneggiatura più curata, un finale diverso e meno pomposo e un tocco in più di originalità (al riguardo è gustosa la sequenza dei cacciatori di organi di Pearlman che lucrano sui mostri, così come le parti con i parassiti delle creature, grandi quanto cani, intrappolati per esser rivenduti), sarebbe potuto diventare un grosso cult capace di resistere negli anni. Invece è venuto fuori un divertente giocattolone, buono per distrarsi e passare due ore incollati alla poltrona, ma staccando bene bene il cervello. Un po' stucchevole, ma spettacolare.

PS: attenzione all'ultima scena inserita a titoli di coda già avviati, con un Pearlman pulp al mille per mille. Voto: 7 (voto 5 per la sceneggiatura)

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