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72 Days

Regia di Danilo Serbedzija vedi scheda film

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La recensione su 72 Days

di OGM
6 stelle

Ci sono realtà cinematografiche marginali, che faticano a farsi sentire. Vorrebbero parlarci del mondo a cui appartengono, anche se questo forse non è nulla di particolare; però è scosso da tante piccole o grandi inquietudini, che si sforzano di diventare storia, e di esprimersi col linguaggio delle immagini. Questo film croato è un relitto della guerra nei Balcani. È il ritratto amaro di un ambiente stanco e sdrucito, i cui personaggi cercano di andare avanti come possono, ben sapendo che la vita è tutta lì: è una tragicommedia povera di idee, che si arrangia con trovate già ampiamente sfruttate, perché per inventarsi cose nuove mancano la voglia e i mezzi. Quindi ci si lascia mestamente guidare dalla necessità, che è ridotta ad uno stadio così duramente primitivo da togliere fiato alla fantasiosa arte d’arrangiarsi, per costringere gli individui ai soliti banali compromessi con la realtà. Il giovane Branko è senza lavoro, si indebita, e si rifugia in campagna per sfuggire ai suoi creditori. La sua prozia muore, e suo zio gli ordina di trovare un’altra donna della stessa età che le possa fare da controfigura, in modo da poter continuare a incassare la ricca pensione del suo defunto marito, morto in battaglia durante la seconda guerra mondiale. Nella desolazione generale delle campagne dell’ex Jugoslavia, dove i trattori arrancano con i loro motori tossicchianti per l’età, ci si consola con svaghi privi di immaginazione, come suonare musica rock sorpassata, sfidarsi nel lancio del sasso,  impagliare animali, o dipingere autoritratti. Non c’è scampo dall’insulsaggine, che da sola basta a vanificare i benefici delle ritrovate pace e libertà. La coloritura agreste, tra l’acido e il trasognato, che Emir Kusturica conferisce alle sue opere, rischia di apparire come un giocoso accento di speranza, carico di una poeticità artificiosa e forse illusoria: sarà forse per evitare ogni sospetto di condiscendenza all’ottimismo dell’arte che il regista esordiente Danilo Serbedzija preferisce mantenere un ruvido distacco nei confronti di una materia che di umano ha soltanto alcune compassionevoli tracce sedimentarie, incrostate di vizi e di totale sfiducia nei confronti del destino. Sono settantadue giorni / che ho male al cuore. / Prendi un fucile / e poi sparami. / Non lasciare che nessun altro mi baci.  Così recita il ritornello della canzone che dà il titolo al film. Lo spirito di quest'ultimo è una versione ruspante dell’indifferenza, che è rassegnazione abbrutita, imbelle o cialtrona a seconda dei casi, ma sempre immalinconita dal cinismo della disperazione. Una condizione che è l’unica alternativa al suicidio, ed induce alla sopravvivenza per difetto di pathos: i gesti estremi sono del tutto fuori discussione, poiché collocati in una irraggiungibile dimensione superiore, quando gli unici interlocutori di un ordinario dolore sono un orso bruno imbalsamato, posto nell’angolo di una stanza senza intonaco, ed un’anziana che non ragiona e non parla, mentre gioca nella vasca da bagno con una paperella di plastica. Sedamdeset i dva dana è un acquerello tiepido, sporco d’ironia e un po’ sbavato, che dipinge lo sbando  in un sonnolento microcosmo rurale: un luogo che, a dispetto dei presunti deserti metropolitani, è la vera, irrecuperabile periferia della civiltà.
 
 
Quest’opera ha concorso come rappresentante della Croazia al premio Oscar 2012 per il migliore film straniero. 

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