Regia di Olivier Megaton vedi scheda film
Un grande successo comporta sempre un sequel.
Ovviamente “Taken” non sfugge a questa regola scritta nel marmo (e come avrebbe potuto con Luc Besson dietro le quinte?), con un passaggio di consegne alla regia, arriva il fidato (ed indolore) Olivier Megaton, ma gli indiziati numero uno per questo deludente film vanno ricercati in chi si è occupato della sceneggiatura, veramente zeppa di incongruenze a livelli record tanto da affievolire il contributo dell’azione (parecchia).
Dopo un anno dal tumultuoso salvataggio della figlia, l’agente Bryan Mills (Liam Neeson) invita la sua ex moglie (Famke Janseen) e la figlia Kim (Maggie Grace) a trascorrere qualche giorno con lui in quel di Istambul dove ha appena prestato un servizio di sicurezza.
Ma la vacanza tanto agognata diviene presto il viatico della vendetta di chi per causa sua ha perso figli, o parenti in genere, l’anno precedente.
Le morti violente comportano sempre nuovi nemici e così l’agente Mills si ritrova di fronte un manipolo di uomini pronti a tutto per eliminare lui e tutti i suoi affetti più cari.
Se già nelle prima battute il film arranca (le dinamiche famigliari sono risibili come poche altre) basta l’avvio del contendere per far precipare il tutto con Mills che di fronte al pericolo non trova niente di meglio da dire alla moglie che “quando un cane ha un osso, levarglielo è l’ultima cosa da fare” (roba da ucciderlo).
E’ evidente che il pathos dettato dalla situazione ad alto rischio sia fin da subito evidentemente compromesso, con una costruzione filologica spregiudicata così che l’azione, che di suo possiede tutto l’armamentario necessario, non può, al contrario del primo capitolo, salvare capre e cavoli.
Una consecutio sbalestrata, tra granate lanciate in mezzo alla città (!!!!) per capire dove ci si trova, stragi in pubblico (roba da far intervenire l’esercito in dieci minuti), guida alla “Fast and furious” di una ragazzina senza patente ed un ingresso in ambiasciata del tipo che in realtà si sarebbe morti cinquanta metri prima senza bisogno di distinguo di sorta.
Insomma vi è un consunto di rara illogicità, e quanto avviene dopo l’ultima scena menzionata giunge dal nulla più assoluto (della serie “Io vi troverò” anche senza nessun indizio), peraltro utilizzando stilemi già visti generando anche un discreto effetto dal lato pratico, ma che non smuove più di tanto il giudizio complessivo.
Quest’ultimo per quanto detto (e, purtroppo visto) non può che essere negativo, anche per chi come il sottoscritto ha tutto sommato apprezzato (al netto di una ideologia criticabile) il precursore, troppa approssimazione (impossibile da non notare durante la lavorazione), tanta da dare il voltastomaco.
Nerboruto, ma in palese difetto.
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