Regia di Philippe Le Guay vedi scheda film
Convinto di poter vedere La mia classe con Valerio Mastandrea, il botteghino mi riserva una bella doccia fredda. La programmazione è cambiata all’ultimo momento! E, delle tre possibili scelte, quella (apparentemente) meno indigesta mi pare essere rappresentata da un certo Molière in bicicletta.
È un boccone amaro da mandare giù. Una commedia in sostituzione di un film drammatico. Per di più realizzata da quei “mangiarane” dei francesi. Ma Molière è sempre Molière ed il progetto (dell’affabile protagonista Gauthier Valence/ L.Wilson) di portare a teatro una delle sue commedie più famose (Il misantropo) pare allettante. Insomma, una possibilità gliela devo pur concedere.
Ebbene… lì mortaci a ‘sti “subdoli” mangiarane!!! Alla faccia (infatti) della commedia! Cioè, qualche volta si ride (anzi, si sorride), ma gli spunti divertenti sono attimi, da cogliere al volo (michemar) prima che risultino neutralizzati dalla monotonia e dalla noia soffocante che pervade tutto il (surreale) racconto; talune volte, peraltro, prende il sopravvento persino un senso di imbarazzo (in ragione della particolare “vocazione” artistica della figlia dell’albergatrice) ...
...ma nulla, invero, distrae la narrazione dal suo annaspare lentamente ed ineluttabilmente verso un destino mesto e malinconico, che ribalta completamente l’apparente pretesa di leggerezza e parrebbe imporre riflessioni più evolute (ma non richieste) sull’ingannevolezza del teatro della vita; ricca di accidenti ed imprevisti; tutti (o quasi) beffardi e (semi)tragici.
La storia è molto semplice: i due protagonisti-antagonisti (l’uno fedele ad una metrica rigidamente tradizionalista come sintomo di una misantropia radicale ed insanabile; l’altro votato ad una filosofia di vita più prosaica) si impegnano in una strenua, tacita sfida intellettuale a colpi di versi di Molière (sui quali riversano sentimenti e risentimenti, rancori e rimpianti, questioni morali e rivalse professionali: FilmTV). Una contesa che avrà un solo vincitore. Purtroppo (ma sono punti di vista) quello sbagliato.
Al di fuori di questo nucleo narrativo, invero non particolarmente esaltante, il quadro, peraltro, si fa ancora più desolante. Qualche personaggio secondario irrompe con discrezione, ma non dà alcun contributo alla storia, o meglio: ne altera gli equilibri (così il personaggio della Sansa; del tutto enigmatici, invece, quello del tassista oppure quello della figlia dell’albergatrice la cui peculiare “vocazione” di cui si è detto non sembra comprometterne, nondimeno, l’innocenza e la dignità della parola poetica) quanto basta affinchè il verso che, in tal modo, subisce la “commedia” si faccia drasticamente traumatico. Così lo spettatore distratto ed annoiato (ma ancora - vanamente - speranzoso che il film possa risollevarsi in qualche modo) non potrà, nel finale, che essere ridestato, invece, da un’ironia caustica ed amara (relativa al teatro di cui sopra). Un’ironia che - per come matura (e in ragione del contesto in cui si manifesta) - non fa che acuire il rammarico per non aver potuto evitare una visione tendenzialmente… inutile.
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