Regia di Giorgia Farina vedi scheda film
Tre donne diverse vivono in un’isola della Sicilia, limbo tra bigotteria retrograda e aggiornamento alla modernità. Gilda è prostituta in un mondo maschilista di (presunte) sante; Olivia di quelle santarelline è la regina, sposata all’uomo più bello del paese che, però, un figlio non glielo vuole dare; Crocetta crede di portare sfiga agli uomini, ma con la sua «passiuorda» può entrare in «mitic punto itti» quando vuole e, lì, cercare quello giusto. Poi tutto va a rotoli: Olivia scopre che il maritino è un ladro di banche e gli spara in testa. Le altre la coprono per intascare il bottino. Seguono equivoci. Il debutto della Farina è un’incerta accozzaglia di referenti. Si va dalla commedia nera al crime, dal demenziale al gangster cercando un pubblico, ma l’unica assente è colei che il pubblico lo avrebbe trovato: la storia. Il film offre solo ripetitivi siparietti per personaggi a matrice televisiva. Sebbene recitati con brio e carica umoristica, non hanno alle spalle un soggetto che li inquadri né una sceneggiatura che li connoti. La buona, la brutta, la cattiva. Ebbene sì, c’è anche il western, in un improbabile duello dialettico al tramonto con dettagli sui volti. Mentre rabbrividiamo di fronte al femminismo distorto del terzetto («non è omicidio, è giustizia») e sprofondiamo dopo battute degne della Sagra della Porchetta («questa sulla mutanda c’ha il teschio: chi tocca muore»), riflettiamo mestamente su quanto la nostra commedia non sappia più raccontare.
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