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La condizione umana: Nessun amore è più grande

Regia di Masaki Kobayashi vedi scheda film

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La recensione su La condizione umana: Nessun amore è più grande

di alan smithee
9 stelle

locandina

La condizione umana: Nessun amore è più grande (1959): locandina

Gli orrori della guerra sono il tragico filo conduttore che non conosce differenze nella storia e rende i soldati nient'altro che pedine sacrificali, sottoposte ad un destino quasi sempre drammatico, tragico, violento, quello stesso che nessuna di esse ha scelto di rendere parte della propria esistenza, né ha sentito il bisogno di fa r parte di strategie patrie che non possono né vogliono prendere in considerazione le singole disperazioni che la barbara lotta finisce per causare.

Masaki Kobayashi, che ha vissuto in prima persona la vita di trincea e ha compreso l'inutilità di uno spirito patrio fine a se stesso, che poi non porta che sofferenze spesso lancinanti e morte e lutto, oltre che lo sfascio di ogni legame familiare in essere, prende posizione sull'intervento del Giappone lungo il complesso Secondo conflitto mondiale, e si concentra criticamente sulla epopea di un Giappone presuntuoso e arrogante che, tra l'agosto e il settembre del 1945, si vede attaccato dall'Unione Sovietica e si trova costretto, dopo la disfatta delle bombe atomiche americane sulle due note isole, a dover pensare ad un altro ritiro dopo la sua esuberante ascesa espansionistica ai danni degli stati confinanti.

Nel primo film di una lunga, avvincente e tragica trilogia lunga oltre nove ore, dal titolo Nessun amore è più grande, il protagonista Kaji (l'attore feticcio di Kobayashi, ma anche di riferimento di altri grandi registi come Akira Kurosawa, ovvero Tatsuya Nakadai), ingegnere minerario dipendente di una grande impresa estrattiva, riesce ad evitare di partire per la guerra accettando di essere inviato, assieme alla moglie Michiko, in Manciuria a fare da responsabile delle risorse umane di una miniera in cui lavorano, oltre che ad operai nipponici, dei prigionieri cinesi;  in quanto tali, sottoposti a angherie e condizioni di vita e lavoro al limite se sopportabile.

Kaji cerca subito di insinuare in quel disumano contesto lavorativo-carcerario, un tocco di umanità che sfocerà con il permesso di alleviare l'asprezza di vita degli operai attraverso l'introduzione, in determinate occasioni, di presenze femminili che possano in qualche modo dare un minimo di effimera soddisfazioni in quel drammatico ed impervio contesto di fatica senza fine.

Si verificheranno incidenti ed evasioni a causa dell'allentamento delle misure di sicurezza a base di alta tensione sui fili spinati, e l'uomo, come punizione per il suo gesto di umanità, verrà costretto ad arruolarsi, salutando così l'amata moglie per partire per il fronte.

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Nel secondo film, intitolato Il cammino verso l'eternità, mentre Michiko si adopera in diverse occupazioni per sopravvivere alla miseria che la disfatta della guerra stava comportando, Kaji si trova al fronte, costretto a misurarsi con il clima disumano e intransigente che vige tra i ranghi, e che non lo risparmia nemmeno dopo che si guadagna il grado di caporale.

Sempre avvezzo ad aiutare il prossimo e a risultare indulgente e premuroso con i più deboli, fa amicizia con un collega sensibile e per questo deriso e bullizzato, al punto da indurlo ad un atto tragico e definitivo.

La guerra intanto si fa sempre più dura, con le truppe nipponiche in costante inesorabile ritiro dopo la potente avanzata sovietica che cerca di ricacciarli oltre i territori dell'estermo nord est conquistati dalla Cina all'inizio del conflitto mondiale.

Per l'onesto Kaji, sconfitto sia nei suoi intenti singoli, che nell'azione che lo vede parte integrande di un esercito in disfatta, si tratta dell'ennesima delusione che si va a sommare ad una vita di sofferenze e di solitudine, distante dall'affetto dell'amata consorte.

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Nel terzo film che compone La condizione umana, intitolato La preghiera del soldato, Kaji si trova in un territorio ormai conquistato dai sovietici, nei ranghi di truppe ormai allo sbando, che cercano ormai con decisioni singole ed arbitrarie di trovare una soluzione che li possa riportare in patria.

Ma la Manciuria è immensa, le condizioni sono proibitive, e la ritirata piena di insidie da parte sia del nemico, sia da parte di una natura inclemente che rende ancora più difficile sopravvivere e non morire di stenti.

A capo di una piccola guarnigione di sopravvissuti, a cui si uniscono diversi civili, il gruppo varcherà foreste inaccessibili e steppe congelate, subendo ogni tipo di agguati, e decimandosi.

Fino a ritrovarsi, il povero Koji, nuovamente solo, desideroso di ritrovare la sua amata Michiko, vivendo fino all'ultimo con il pensiero fisso di poterla riabbracciare.

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La condizione umana è un fiume narrativo in piena che permette a Masaki Kobayashi di esprimere, senza false reticenze e con un atteggiamento di critica sferzante convinto ed ammirevole, il suo disgusto per quella violenza legalizzata che la guerra rappresenta, scaraventando in balia di se stessi e della brutalità che si crea e rende le persone al pari di belve inferocite, uomini che la ragion di stato rende costretti a divenire assassini di altri loro simili, divisi da differenti bandiere, ma accomunati da un identico, miserevole destino.

Lo sguardo incredulo, sdegnato dall'orrore che gli si para dinanzi e che non riesce a trovare un motivo per cui potersi abituare alla violenza che lo circonda, e che ben si esprime attraverso gli occhi strabuzzanti del bravo protagonista Tatsuya Nakadai, trasfigura, nell'epopea antimilitaristica di Kobayashi, il modo inequivocabile per rendere lo sdegno di un autore verso una ufficializzazione della prevaricazione e della prepotenza che la guerra esprime e realizza, e rende poetico, oltre che vitale e sincero, l'anelito pacifista e tollerante che anima l'autore.

Fotografato da un bianco e nero che non scherma la violenza ed il sangue che scorre tra i ranghi di chi è costretto a misurarsi in prima persona cn l'orrore di macchinazioni e decisioni prese da poteri esterni ed estranei al contesto di trincea, La condizione umana è anche girato con grande sapienza, e rende giustizia ai molti momenti di azione e di concitata violenza attraverso riprese oblique che riescono a rendere sullo spettatore in modo molto realista lo stato di urgenza e di perenne pericolo che assedia il protagonista, sfinito da una epopea in cui si ritrova sempre al centro di fallimenti indotti dalla sua onesta intellettuale e dal suo rifiuto per un sistema che non garantisca una dignità umana anche a chi si ritrova costretto a ricoprire ruoli di condannato, prigioniero, o comunque impossibilitato a far valere i suoi diritti inviolabili di cittadino. 

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La trilogia in realtà è tratta da un romanzo omonimo in sei volumi di Junpei Gomikawa, e ognuno dei tre film ne riprende la suddivisione, apparendo ciascuno composto da due capitoli enumerati in ordine cronologico crescente lungo tutta la vicenda.

Il desiderio di autocritica contro un atteggiamento militarista votato ad una espansione che rifugge ogni logica di umanità e di identità dei singoli popoli, nasce appunto da sentimenti che l'autore ha provato sulla sua pelle, avendo partecipato pure egli di persona alla missione di conquista della Manciuria ai danni della Cina, perpetrando, con questo intervento espansivo, il protrarsi di odi tra popoli che poi si ripercuotono sulla triste fine a cui è destinato il protagonista, coinvolto in una vera e propria personale odissea infinita e massacrante nell'inutile tentativo di raggiungere la sola persona amata, ovvero l'affettuosa e determinata Michiko. 

 

 

 

 

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