Regia di Dragan Bjelogrlic vedi scheda film
Il compositore della colonna sonora ha un nome serbo, ma si fa chiamare Roberto Magnifico. In effetti si sente un’eco italica, di Fellini, Avati e Tornatore nelle note che accompagnano questa rievocazione di un sogno di gloria, che poteva essere grande soltanto nei bei tempi andati, quando tutti erano più poveri, ma in compenso il mondo sembrava tanto più semplice. Un’ottantina di anni fa, Belgrado era una città in cui un derby bastava a tenere tutti col fiato sospeso, con l’orecchio incollato alla radio, ad ascoltare cronisti che ancora non avevano imparato il mestiere, eppure ci mettevano tanta passione. Per strada i ragazzi giocavano con palloni di pezza, e potevano, lì per lì, essere ingaggiati nelle squadre "vere" da ingegneri bonaccioni improvvisatisi talent scout. Quando i soldi scarseggiavano un po’ dovunque e lo sport non era un business per gli sponsor e le pay-tv, dirigere il calcio non era una professione ma un hobby, esercitato la sera e nei giorni di festa, con le contrattazioni che avvenivano amichevolmente tra un bicchiere di vino ed una visita al bordello. Si finiva in galera per aver gridato “Abbasso il re!”, ed allo stesso re ci si poteva rivolgere per chiedere il denaro necessario per partecipare alla Coppa del Mondo. Quando tutto era più difficile, i miracoli si pagavano con poco, e bastava un’amicizia tra ragazzi a realizzare l’impossibile. Tirke e Mosha sono una coppia imbattibile di attaccanti del Belgrade Sport Club: all’inizio si odiavano, rivaleggiavano in amore e sul campo, poi la prospettiva di un comune importante traguardo li ha resi inseparabili. Tutto è avvenuto in un lampo, come solo nelle favole accade: la storia è trasfigurata da un incanto infantile, che chiama a gran voce il lieto fine, anche nel momento in cui tutto sembra perduto. L’io narrante di un bambino racconta gli eventi, srotolandoli dalla memoria come la melodia di un organetto: il ricordo rivive in una realtà che si riesce ad amare solo a posteriori, una volta che il peggio è passato e ci si può ridere su. Il piccolo Stanoje ha una gamba rigida, eppure partecipa in prima persona alla nascita di un gruppo di campioni: è la mascotte di Tirke, poi diventa il suo alter ego, infine il cantastorie che ne eterna le gesta con le immagini popolari di una fiera paesana. I colori del paesaggio sono accesi, come lo sono i caratteri dei personaggi, paragonabili alle figurine del presepe della nostalgia, in cui ogni tipo è il capitolo di un romanzo nel quale tutti sono un po’ eroi. Il fatto di base è autentico: la Jugoslavia è riuscita in extremis, nel 1930, a portare la propria nazionale ai campionati mondiali di Montevideo, in Uruguay, i primi della storia. Il resto è una meravigliosa invenzione, che esagera sotto la spinta della gioia, rendendo onore ad un destino inaspettatamente benevolo, alla fortuna che, per una volta, ha davvero voluto premiare gli audaci. Montevideo, God Bless You! è una retrospettiva immersa nell’atmosfera straniante della leggenda anacronistica, che scherza col dolce e l’amaro, come chi crede che la situazione non potrà mai farsi veramente seria. E intanto ci regala quel sapore rétro delle illusioni che invadono teatralmente la scena, dimostrando, con gustosa ingenuità, che il mito è un affare a portata di mano.
Questo film è stato il candidato serbo al premio Oscar 2012 per il miglior film straniero.
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