Regia di Sacha Gervasi vedi scheda film
Il titolo è fuorviante per un film che non è un biopic in senso stretto e nemmeno un documentario sulla lavorazione di un film. Perché Hitchcock, a scanso di equivoci, non è un film che rievoca la carriera prolifica e il vissuto di uno dei più grandi registi di tutti i tempi, ma ripercorre solo le tappe che portarono il regista inglese a realizzare uno dei suoi film più celebri, Psycho; da noi arrivato, misteriosamente, senza la 'h'. Il film diretto da Sacha Gervasi (lo sceneggiatore di The Terminal) inizia con un piccolo omaggio alla bella serie televisiva che Hitchcock supervisionò e diresse tra il 1955 e il 1961: la scena di un omicidio e un uomo dallo sguardo bonario e dall'umorismo sottile a commentare. È Alfred Hitchcock (interpretato da un grande Anthony Hopkins, molto bravo nell'imitare voce e timbro ma troppo diverso fisicamente dal regista) che dà il via a una vicenda semplice e raccontata con gusto per l'aneddoto da Gervasi. 1959: Hitchcock e l'inseparabile moglie Velma (la solita, inossidabile Helen Mirren) fanno appena in tempo a godersi il successo della prima di Intrigo internazionale che capita già l'occasione di lavorare a un nuovo film. Sir Alfred legge e si innamora del romanzo thriller Psycho di Robert Bloch che si ispira a una vicenda di cronaca nera, con protagonista un killer ossessionato dal rapporto con la madre morta da tempo. Con l'aiuto di Velma (che di Hitchcock è sempre stata assistente fedele con compiti di revisione della sceneggiatura e del montaggio) e dello sceneggiatore Joe Stefano (un irriconoscibile Ralph Macchio) imbastisce una sceneggiatura che sottopone assieme al suo agente ai vertici della Paramount a cui il regista inglese, per esigenze contrattuali, deve ancora un film. Ma i produttori nicchiano non convinti da una storia troppo diversa dalle solite raccontate dal regista di Caccia al ladro. ,Film interessante che offre tanti spunti per conoscere il celebre regista: la sua ossessione (che spesso sconfina nella delusione) verso le proprie attrici tutte quante bionde; il rapporto complicato con la moglie Velma e la gelosia nei confronti del suo rapporto con uno scrittore. Qualche curiosità sulla lavorazione di Psycho, tra cui l'immancabile sequenza della doccia e – per noi la cosa davvero originale – il difficile rapportarsi con la commissione censura che in quegli anni aveva grande potere negli Stati Uniti, potendo bloccare l'uscita di un film contenenti allusioni o esplicite scene di sesso. Hitchcock se la caverà, in questo caso, con grande mestiere e intelligenza. Tante curiosità messe in fila e slegate tra loro: è questa l'impressione che si ha di fronte a un film che è molto curato nella ricostruzione e anche nell'uso degli attori. Oltre ai due protagonisti il film vanta la presenza di attrici bellissime e in gamba come Scarlett Johansson nei panni di Janet Leigh e Jessica Biel in quelli di Vera Miles; e funzionano anche Toni Colette (Peggy, l'assistente tuttofare del regista), Danny Huston (lo sceneggiatore Whitfield Cook) e soprattutto James D'Arcy identico nel fisico e nei tic ad Anthony Perkins. Il problema, però, è che la somma di tante curiosità e tanti aneddoti non fanno un uomo e una storia: così tanti spunti, pur interessanti come la sovrapposizione tra la vita privata di Perkins e il personaggio di Norman Bates non sono approfonditi, l'istinto voyeur del regista è trattato in modo semplicistico (e qua e là ricorda involontariamente – aiuto! – pulsioni alla Brass) come uno sguardo dentro il buco di una serratura. E il rapporto stesso tra Hitch e la moglie, nonostante sia tenuto in piedi da due formidabili attori, si limita ad essere una storia banale di sospetti, corna e gelosie. Si fa insomma aneddotica ma non si fa mai storia, vera e romanzata; e non aiuta una regia che quando cerca la complessità, come nel tentativo malriuscito di rappresentare il dialogo a distanza tra Hitch e il vero serial killer a cui si ispira il film, è poco efficace. Ed è un peccato: la vita di Hitchcock ma soprattutto il suo stile inimitabile (che non è mai davvero evocato o raccontato) ha radici lontane che passano certo dalle fobie della vita privata, come quella per la polizia, ma soprattutto da decenni di frequentazione di grande cinema, muto e poi sonoro. Su tutto questo Gervasi e il suo sceneggiatore McLaughlin (che trae spunto da un romanzo di Stephen Rebello, Alfred Hitchcock and the Making of Psycho, titolo sicuramente più pertinente) glissano per concentrarsi sulla silohuette di Sir Alfred, vista da un unico punto di vista: quella del buco della serratura.
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