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Hitchcock

Regia di Sacha Gervasi vedi scheda film

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La recensione su Hitchcock

di OGM
6 stelle

Beata Hollywood. Ingrata verso i suoi geni quando sono in vita, inadeguata a celebrarli quando sono morti. La Paramount Pictures non volle produrre Psycho. E si mostrò restia anche solo a distribuirlo, temendo che la scena “ardita” della doccia potesse provocare il veto della censura. Questo tardivo making of del capolavoro hitchcockiano ha il merito di portare alla luce e stigmatizzare quello che può essere considerato il paradigma di tutti i peccati di vigliaccheria  commessi dalle major del grande schermo. Ma forse non è esattamente questo il modo in cui vorremmo fosse rievocato il maestro della suspense. Non come una caricatura della sua sorniona autoironia, non come quella maschera bolsa e panciuta in cui persino un attore versatile come Anthony Hopkins si muove con visibile imbarazzo. Dietro le quinte dell’indimenticabile thriller sadico e incestuoso, destinato a trasformarsi subito in uno scandaloso successo, ci immaginiamo ben altro che il fotoromanzo coniugale alla Beautiful in cui Sacha Gervasi si compiace di introdurci, e i cui protagonisti sono un famoso regista che passa le giornate sul set, coltivando le sue giovani ed avvenenti muse, mentre sua moglie, sentendosi trascurata, decide di andare per la propria strada, cercando altrove la tanto agognata realizzazione professionale ed affettiva. In questo scenario di (mezzi) tradimenti incrociati, alquanto limitati e lacunosi sono i riferimenti all’argomento principale, ossia alla messa in opera, con scarse risorse tecniche ed economiche, di quel rivoluzionario progetto cinematografico, destinato a diventare un intramontabile classico del terrore. Per l’ennesima volta, informazione e riflessione cedono il passo alle esigenze dell’intrattenimento, che qui sembrano identificarsi, più che con il favoleggiare romantico a sfondo leggendario, con le pure e semplici curiosità da rotocalco. E intanto gli stereotipi infuriano, intorno all’uomo dominante dedito al cibo e ai superalcolici, sultano di un multiforme harem popolato da donne variamente sottomesse benché ugualmente frustrate, oppresse nei loro tradizionali ruoli servili di amanti, mogli, segretarie.  Fiacco, dispersivo e poco illuminante, questo infelice tentativo di omaggiare “Hitch” ed il suo impertinente realismo ci porta lontano dai nostri sogni. Non ci interessa per nulla seguire la consorte Alma Reville nelle distrazioni che si concede con l’amico scrittore Whitfield Cook, e con l’adattamento del suo libro  Taxi to Dubrovnik. Preferiremmo rimanere in tema. E così, come per incanto, scatta in noi la voglia di remare contro, di ritornare alla verità, alle origini di questa storia che si è futilmente smarrita in un dedalo di viuzze secondarie. Eccoci allora a riprendere in mano un vecchio dvd, o a cliccare su Youtube per soddisfare un antico desiderio: rivedere la vera Janet Leigh – e non l’eternamente autoreferenziale Scarlett Johansson – mentre crolla, urlante e sanguinante, sotto le pugnalate dell’ombroso Norman Bates. Cancellare, per un attimo, la nostra ansia di novità, e farci riscoprire il passato,  scegliendo di rivivere quell’emozione fuori tempo: è il principale merito, di per sé grandioso, di questo deludente film.

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