Regia di David Ayer vedi scheda film
Camera fissa montata su un’auto di pattuglia. La voce narrante accompagna un inseguimento spiegandoci quanto possa essere dura fare lo sbirro in una metropoli. Benvenuti nei bassifondi di Los Angeles. L’inizio è promettente, l’idea è quella di girare un poliziesco in soggettiva. Realistico, serrato, violento. Del resto, al giorno d’oggi, chi non ha una “cinepresa” digitale? Eccoci quindi catapultati nel bel mezzo di una guerra fra bande, o meglio ancora nel pieno di una retata. Il ritmo è selvaggio, il montaggio non lascia respiro. La coppia di agenti protagonista è in rapida ascesa. Multietnica – un bianco e un messicano – giovane, affiatata, impavida, ambiziosa. Finiscono però col pestare i piedi sbagliati. Dopo la sceneggiatura di “Training Day” e la regia di “Harsh Times” e “La notte non aspetta”, Ayer insiste a rimestare nel torbido blu polizia. Ancora alla ricerca di un proprio stile, questa volta imbrocca la strada giusta realizzando un lungometraggio di genere solido e realistico. Il taglio mockumentary aiuta, soprattutto nel girato, ma è il lavoro fatto sui personaggi a fare la differenza. Pur mettendo in scena le stesse dimaniche delle prove precedenti, peraltro sempre tendenti all’esasperazione, il regista trova questa volta il giusto equilibrio fra azione e risvolti personali centrando anche le caratterizzazioni secondarie (molto bene l’intera compagine femminile). Jake Gyllenhaal gira a mille, Michael Pena funziona anche meglio. Peccato per quel finale così stereotipato, la scelta peggiore fra quelle possibili.
Menzione d'onore per il brano sui titoli di coda, Josh Homme colpisce sempre nel segno.
http://www.youtube.com/watch?v=1xMrx4CFFTY
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