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End of Watch - Tolleranza zero

Regia di David Ayer vedi scheda film

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La recensione su End of Watch - Tolleranza zero

di OGM
8 stelle

Los  Angeles Police Department. Agenti Brian Taylor e Miguel Zavala, assegnati all’unità territoriale X13. Qualcuno li riprende, mentre sono di pattuglia e, quasi sempre, in azione. La loro quotidiana missione sulle strade si trasforma in un reality dai toni accesi, cosparso di picchi di drammaticità, volgarità, violenza ed orrore. E dire che sembrano soltanto due allegri buontemponi, mentre chiacchierano dentro l’auto di servizio, con la videocamera appoggiata sul parabrezza a registrare le loro battute adolescenziali infarcite di saggezza da uomini maturi: un sarcasmo velato di tristezza, che, nei soliti discorsi da bar,  comprende la sottile distinzione tra le ragazze da conquistare e le donne da sposare. Il fatto è che la vita è una faccenda seria, esattamente come l’amore, e a quei due ragazzacci cresciuti e dalla faccia pulita non resta che scherzarci su. In questo modo esorcizzano la paura di non tornare a casa: il caso criminoso che, con un pizzico di gusto della sfida, decidono di prendere in carico, può essere quello che, in un fatale momento, pone fine a tutto. Il pericolo esiste, ma non c’è tempo per starci a pensare. Così ci si tuffa a capofitto dentro la sporcizia, pur conoscendone fin troppo bene il terribile odore. Brian e “Z” sanno come vanno le cose, in quel mondo fatto di appartamenti e locali notturni in cui covano sinistri misteri, perché tutti amano nascondersi, dai bambini di tre anni alle bande di narcos. Ai due poliziotti tocca sollevare il velo polveroso che copre il sotterfugio, e l’operazione, ogni volta, fa molto rumore. Si ode un gran chiasso quando i segreti finiscono gambe all’aria e si arriva a toccare con mano la carne che è diventata preda del male. La macchina da presa comincia ad oscillare, perde l’equilibrio, capitombola, mentre i due uomini corrono di qua e di là, si buttano per terra, fanno a botte. Succede lo stesso quando un altro obiettivo, concorrente del primo ed ugualmente agile, spia i movimenti della controparte, di quei delinquenti che vivono nell’ombra preparando i loro piani con la rabbia dell’animale braccato, il cui verso è un filastrocca rap sottolineata da una raffica di fucking. Il ritmo di questa musica graffiante è caos allo stato puro, si può solo guardare e tacere, senza avere la possibilità di capire. Le immagini si aggrovigliano: è questo il primo segno distinguibile che qualcosa di grosso sta accadendo. Dopo di ciò spetta alla frenesia il compito di sbrogliare la matassa, perché è la confusione che funge da antidoto a se stessa. Tensione e concitazione diventano tutt’uno, quando si tratta di rendere visibile l’affanno: l’obiettivo deve partecipare attivamente alla palpitazione, trasformando la visione in una precipitazione furiosamente indagatrice. La regia di David Ayer unisce al dinamismo ansioso dell’incursione poliziesca la pesante cadenza dell’ineluttabilità: End of Watch  è un finto documentario in cui il cinema, mentre mostra la realtà, esibisce consapevolmente i propri limiti, la propria impossibilità di coglierla per intero, nel breve tempo che gli è concesso per posarsi su di essa. È nervosamente instabile, come un occhio umano in fuga: è detective che fiuta una traccia mentre impugna la pistola, perché non sa se, dietro l’angolo, incontrerà la soluzione del giallo, oppure il proiettile dell’assassino.

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