Regia di Federico Brugia vedi scheda film
Opera prima che ha il coraggio, la sfrontatezza, l’ardire di uscire nel periodo (tutto italiano) piu’ disgraziato e deliberatamente infelice per il cinema nel nostro paese, quando le poche (multi)sale rimaste aperte si spartiscono quattro o cinque roboanti blockbuster di successo che egemonizzano quel che resta di un mercato che non crede in se stesso e nelle sue capacita’ attrattive per futili inconsistenti ragioni metereologiche.
Solo per questo orgoglioso atteggiamento la piccola opera prima di Brugia merita un plauso ed un riconoscimento che va al di là del valore intrinseco che la caratterizza .
Il neoregista ha chiare in testa alcune situazioni ed atmosfere in grado di affascinare l’occhio e tener desta l’attenzione dello spettatore: un uomo senza nome e senza storia, una voce narrante (un po’ troppo invadente) che ne spiega situazioni, ritmi di vita, clandestinità, e ne presenta uno ad uno collaboratori e loschi individui per cui lavora. Si tratta di un trafficante di merci e persone, un “passeur”, come direbbe lo scrittore Biamonti, esperto in materia di traffici e transumanze umane in territorio di confine tra Liguria di Ponente e Francia; un fantasma con molteplici identità e nello stesso tempo nemmeno una che gli si addica, un uomo mimetico che collabora con una organizzazione criminale ungherese per la tratta di donne da destinare alla prostituzione d’alto bordo in tutta Europa. Un uomo invisibile e apparentemente qualunque, che vive ogni giorno in una stanza diversa di un motel abbandonato di proprieta’ dei loschi individui per i quali collabora; un individuo che ha scelto l’esilio per amore dei propri cari, sotterrando sentimenti e ricordi di una vita passata, che si e’ dato per morto per vivere ogni giorno vite diverse ed uguali nella grigia solitudine che la bigia atmosfera fredda e nordica di una steppa incolore e senza vita sembra accentuare fino alla disperazione.
Fin qui tutto bene, le buone premesse per un noir riflessivo e seducente ci sono tutte. Il problema vero del film e’ che poi la vicenda stenta a partire, e si perde troppo spesso superficialmente nel disegnare un po’ rozzamente personaggi secondari della organizzazione criminale presso la quale il nostro uomo lavora. E a parte il giovane ed elegante referente da cui prende gli ordini il nostro uomo - figura riuscita a meta’ nel suo contrastato apparire uomo spietato, ma capace di crollare per l’amore totalizzante per una bella (e alquanto stronza) femmina che lo usa come un burattino - tutti gli altri membri dell’organizzazione appaiono davvero goffi e al limite del macchiettistico, quasi ci trovassimo di fronte ad uno di quei micidiali telefilm tedeschi che affollano le nostre programmazioni anche in prima serata.
La vicenda incespica in discorsi un po’ fine a se stessi e difetta d’azione, e il ritmo trattenuto che il regista non vuole (forse deliberatamente) lasciar scatenare crea pesantezza e ripetitivita’, anche quando curiose intuizioni visive (un inchiostro nero che invade angoli della pellicola, disegna alberi spettrali in mezzo ad un paesaggio desolato e seducente al tempo stesso, e lascia alla sensibilita’ dello spettatore piena liberta’ di interpretazione) cercano di soccorrere i vuoti di sceneggiatura che affliggono l’opera. Un accumulo pedante di finali, quasi ci si debba sentire in dovere di destinare ad ogni personaggio la parola “fine” al proprio ruolo, non giova certo alla fluidita’ della pellicola, che avrebbe a mio giudizio dovuto concentrarsi maggiormente sul suo enigmatico e riuscito protagonista e sulla figura femminile, la donna sbagliata che bisogna trasportare, poi abbandonare e infine eliminare. Peccato perche’ il film conserva dall’inizio alla fine una sua fiera ma non esibita dignita’ e uno stile interessante e a tratti persino seducente.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta