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The Butterfly Room - La stanza delle farfalle

Regia di Gionata Zarantonello vedi scheda film

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La recensione su The Butterfly Room - La stanza delle farfalle

di OGM
8 stelle

Horror dal fascino vintage. Non è solo l’intramontabile bellezza diabolica di Barbara Steele a riportarci indietro nel tempo, ai thriller italiani degli anni sessanta, nello stile di Mario Bava od Antonio Margheriti. È anche e soprattutto la centralità dell’intreccio, che, con un gusto psicologico di stampo prettamente hitchcockiano, attinge la propria impenetrabilità direttamente dalla natura illogica ed imprevedibile della follia. È stato soprattutto il grande maestro inglese ad insegnarci come  l’ambiente borghese sia la sede più adatta ad ospitare, provocatoriamente, il marcio e l’orrido sotto la superficie pulita di una decorosissima normalità. Le stanze di una gran signora hanno un misterioso doppio fondo, analogo a quello che la stessa ha saputo ricavare in un altro palazzo: un nascondiglio segreto,  che custodisce cose da gettare e far sparire, oppure conservare gelosamente al riparo dagli occhi del mondo. Non è forse un caso se l’anziana e distinta Ann è una collezionista di farfalle, che uccide con il cloroformio e conserva con la naftalina: l’arte dell’imbalsamazione è, da sempre, la controparte artistica ed esoterica del culto dei morti, che sottrae il corpo alla decomposizione, consegnandolo all’eternità di un profano senso del possesso. La componente creativa della tassidermia è l’espressione di un delirio di onnipotenza che pretende di dominare anche il territorio insondabile che si estende oltre la vita, per potervi cogliere ciò che nell’al di qua ci si è visti negare o sottrarre: un amore, una gioia, un’attestazione di fedeltà. La realtà moderna esercita un forte potere disgregante anche sui legami di sangue, che, così, in un’ottica di individualismo scollegato dalle tradizionali categorie familiari, si aprono alle più svariate reinterpretazioni, oltre che alla possibilità di essere rimpiazzati da surrogati concepiti ad hoc.  La perversione è la ricerca di una soddisfazione sostitutiva, che si ammanta di trasgressività e di mistero nel momento in cui si slega dalle vie alternative più o meno ufficializzate, per seguire la scia di inconfessabili fantasie personali. I protagonisti di Psyco e de Il silenzio degli innocenti sono raffinatissimi ingegni, che risultano terrificanti in virtù della spaventosa unicità delle loro invenzioni. La loro dimensione è una solitudine popolata dei fantasmi di sogni impossibili, di rimpianti irrimediabili o di modelli irraggiungibili, a cui essi comunque tentano di dare una forma concreta, plasmata nella carne umana. Ann è assimilabile a loro nel carattere esclusivo e sanguinario del suo progetto, che, però, non corrisponde ad un piano seriale e preordinato, perché  prende corpo strada facendo, lasciando che gli eventi lo ridisegnino in corso d’opera. L’assassina è il personaggio di un’avventura di cui lei stessa ignora gli sviluppi, perché questi sono affidati ad impulsi momentanei, improvvise ispirazioni, occasioni colte al volo. La maniacalità non è più un regno ultraterreno, basato su regole fissate a priori ed immodificabili; nel caso di Ann, è invece un particolare modo di reagire alle circostanze della vita, alle quali rimane attaccata con tutta la sua passione ferita ed ansiosa di rivalsa. Ne La stanza delle farfalle il mostro è donna, in quanto presenta quel pragmatismo viscerale che, nell’immaginario collettivo, corrisponde all’iperattività ed alla volubilità tipicamente femminili. Questo film non è dunque, semplicemente, una nostalgica incursione nel mondo della paura; è un’opera che finisce per parlare di noi, dei nostri schemi mentali, della circospezione con cui ci accostiamo alle problematiche connesse alla cosiddetta identità di genere. Una storia che, ancora una volta, mette in luce gli abissi in cui vorremmo affondare i lati oscuri dei nostri istinti primordiali, ivi compreso -  perché no – l’amore che lega una madre ai suoi figli.

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