Regia di Alberto Grifi vedi scheda film
Un lavoro alla Grifi: ambizioni altissime, mezzi pochissimi, ma tante idee buttate in campo alla rinfusa. Più cuore che cervello (o tantomeno braccio), più voglia di dimostrare che effettivi argomenti ragionati, teorie su cui costruire; al regista di Anna non interessa l'estetica, ma sicuramente senza l'etica non potrebbe vivere nè lavorare. Ecco quindi che Dinni e la Normalina (segue sottotitolo di lunghezza devastante) si presenta in tutta la sua autoironia fin dalla prima sequenza, quando compare Giordano Falzoni (qui al suo esordio, avrà una modesta carriera fra serie Z e comparsate in serie A: Il nome della rosa e La voce della luna su tutti) vestito da medico di una fantomatica, orwelliana 'videopolizia psichiatrica' e attaccherà un monologo surreale con piglio spassosamente divertito. Pure troppo: la recitazione ne risente e non è solo Falzoni a tentennare: sono tutti cani in questa mezzora di film, ma d'altronde come si è già detto Grifi non sta 'a guardare il capello'. E se è il succo del discorso la parte principale delle sue opere, anche in Dinni e la Normalina non mancano i pensieri forti: tanto che l'inquietante finale pare addirittura giustificare il brigatismo, sorta di movimento di reazione a una società oppressiva e paranoica. Ma chi è il vero folle in tutto ciò? 4/10.
La Normalina è la nuova frontiera della psichiatria: un'iniezione di questo potentissimo farmaco e i giovani contestatori vengono ricondotti alla più cieca obbedienza per un periodo che può durare fino a otto mesi. Ma è davvero questa la realtà?
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