Trama
Rahima, 23 anni, e il fratello quattordicenne Nedim sono orfani della guerra in Bosnia. Vivono a Sarajevo, città in transizione che ha perso ogni compassione per i figli di coloro che sono morti durante il conflitto. Dopo aver trascorso un'adolescenza inquieta, Rahima ha trovato conforto nell'Islam e spera che Nedim segua le sue orme. La loro vita si complica quando a scuola Nedim si scontra violentemente con il figlio di un potente ministro. Da ciò scaturiscono una serie di eventi che portano Rahima a scoprire che Nedim conduce una doppia vita.
Approfondimento
LA TRANSIZIONE DOPO LA GUERRA
Snow, il primo film di Aida Begic, era la storia di un gruppo di donne i cui uomini erano stati uccisi durante i massacri della guerra nella Bosnia orientale. Ne seguivano le vicende e i tentativi di sopravvivenza nel 1997, nell'immediato dopoguerra. Mentre lavorava alla realizzazione del film, Aida Begic si è ritrovata spesso a parlare con le attrici del "sogno bosniaco". Sul set si discuteva e si fantasticava sulla ricostruzione di un Paese e di una società dilaniati da un orrore senza fine. A distanza di più di un decennio dallo scoppio del conflitto, quelle conversazioni hanno fatto ritornare alla mente della regista i desideri che si vivevano a quel tempo e ha deciso di confrontare l'idea del "sogno" con la differente realtà creatasi nel frattempo in Bosnia. Dall'impietoso confronto, è emerso che nessuno in fondo aveva mantenuto le promesse e i sogni di conseguenza avevano lasciato spazio ai ricordi. Paradossalmente, il periodo della guerra, nonostante fosse il più difficile da vivere, aveva rappresentato per molti individui l'unico momento in cui avevano vissuto realmente. Senza differenze economiche tra le classi sociali, tutte ugualmente miserabili, la guerra aveva provveduto a mantenere vive le coscienze, la voglia di fare e il desiderio di felicità, tutte esigenze appiattitesi poi per lasciare spazio a contingenze meno umane e alla creazione di nuove differenze sociali frutto della smania di potere. Il periodo di transizione in Bosnia, dalla guerra al ritorno alla normalità, ha comportato un senso di impotenza e l'incapacità di pensare e progettare in chiave futura. Dopo due decenni di guerra, la gente vive in un continuo "oggi" e ha paura di guardare al "domani". Come in tutti i Paesi che escono da una guerra, la transizione si è rivelata un terreno di coltura perfetto per l'ingiustizia, la corruzione, la violenza e molti altri fenomeni sociali con valenza negativa. Le persone che erano solite vivere in fondo alla scala sociale sono divenute all'improvviso ricche e hanno raggiunto posizioni di potere, venendo sostituite in basso da coloro che hanno rifiutato di adeguarsi alle nuove e sporche "regole del gioco".
LA PAURA DEL DIVERSO
Il personaggio di Rahima trova conforto aderendo al credo della religione islamica. Dal momento che lei indossa un velo, al ristorante in cui lavora tutti cominciano a comportarsi come una famiglia disfunzionale unita nel condividere il destino di "diverso", riservato a tutti quelli che si allontanano dalle forme comportamentali socialmente condivise. Da islamica, per un pregiudizio condiviso in gran parte del mondo occidentale, Rahima diventa una minaccia, un pericolo da cui guardarsi. Rahima però non è molto diversa dalle ragazze della sua età: si comporta come tutti i suoi coetanei, ascolta la stessa musica, ama e odia allo stesso modo e, soprattutto, commette gli stessi errori. La discriminazione nasce perché viene percepita come diversa. Discriminati sono anche Davor (il cuoco del ristorante appartenente alla minoranza croata e omosessuale), Dino (il giovane cameriere con qualche problema di droga) e al marito della proprietaria del ristorante (reo di avere abbracciato l'insegnamento di una corrente islamica radicale e di aver portato i figli con sé).
UN MONDO DI CONTRASTI
Per illustrare i ricordi di Rahima, Aida Begic decide di inserire nel film alcuni filmati amatoriali girati durante il periodo della guerra. Contrariamente alle immagini mostrate dalle televisioni di tutto il mondo sulla situazione generale, i filmati scelti raccontano un universo molto differente, un mondo in cui la gente continua a vivere la propria vita come se la situazione fosse normale. Durante l'assedio della città, si continuavano a organizzare feste, mettere in piedi spettacoli teatrali e a girare film. Nelle loro case, le persone con le loro piccole telecamere invece filmavano i loro momenti privati e le loro memorie intime in contesti che sembravano esulare dagli orrori del mondo circostante. Inseriti in Buon anno Sarajevo, i filmati creano un forte contrasto visivo che, in qualche modo, richiama gli altri contrasti della storia, in cui si fronteggiano ricchi e poveri, vita e morte, passato e presente, realtà e illusione, libertà e prigionia. Rahima stessa è un piccolo microcosmo in cui convivono tutti questi contrasti, rendendola il paradigma della confusione post-bellica.
Note
Aida Begic racconta Sarajevo e la Bosnia a più di dieci anni dalla guerra con il piglio sicuro di chi sa maneggiare con scioltezza il mezzo cinematografico. Con la macchina da presa a spalla la Begic mette in scena, nei diluiti piani sequenza ricompensati con il Premio Lino Miccichè a Pesaro 2012 per il Miglior Film, la ricerca di una traccia di umanità in mezzo a tanti contrasti. Il film era candidato ufficiale per la Bosnia all'Oscar per il miglior film straniero ma non è entrato nella short list.
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