Regia di Aida Begic vedi scheda film
Oltre a quella dei morti e dei danni, c’è una conta che nessuno fa mai dopo una guerra. Ed è la conta delle vittime. I cui corpi sopravvivranno, ma a quale prezzo? Ed è di loro che si (pre)occupa la brava Aida Begic, bosniaca, un lungometraggio appena alle spalle e già il piglio sicuro di chi sa maneggiare con scioltezza il mezzo cinematografico. Se infatti nel suo primo lavoro, Snijeg, raccontava la storia di un gruppo di donne che avevano perso i loro uomini durante i massacri nella Bosnia orientale, con Buon anno Sarajevo la Begic torna nella sua capitale a distanza di più di dieci anni dai fatti che l’hanno martoriata. Con lei, sul set, ci sono due fratelli orfani: Rahima, poco più che 20enne, un lavoro sottopagato come cuoca e la fede musulmana come rifugio; e Nedim, che di anni ne ha solo 14 ma di guai ne ha già combinati abbastanza. Per entrambi, però, il tempo sembra essersi fermato in un immutabile presente o piuttosto in un eterno passato dove le lancette dell’orologio restano inchiodate a quelle ferite infette e ora aggravate dalla crisi economica. Ma in esse lo spettatore non troverà nessun compiacimento del dolore, nessuna morbosità dello sguardo. Macchina da presa a spalla, ciò che la Begic mette in scena nei diluiti piani sequenza ricompensati con il Premio Lino Miccichè a Pesaro 2012 per il Miglior Film, è solo la ricerca di una traccia di umanità in mezzo a tanti contrasti. E ai botti assordanti, quasi delle bombe, per il nuovo anno.
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