Regia di Aida Begic vedi scheda film
E’ come ritornare a guardare i tg e gli speciali, quelli degli anni Novanta, con i brandelli carne e muri e i cani che si cibavano di quel che avanzava. E poi i tanti morti e le migliaia di sopravvissuti. La maggior parte in condizione di orfani. Come Rahima e suo fratello Nedim, i protagonisti del film della regista Aida Begic. Loro sono orfani a causa della guerra in Bosnia. Vivono a Sarajevo, una città che sembra essersi scordata la riconoscenza verso i figli di chi é morto per la patria. Dopo anni difficili, Rahima, ormai ventitreenne, ha trovato serenità, ma suo fratello non ha ancora trovato la strada giusta. Lei, nonostante abbia vissuto la grande sofferenza della guerra e la perdita di tutto, deve prendersi cura almeno del fratello rimasto con lei, in città, perché l’altro abita lontano di lì. Nedim vive il tormento in qualsiasi luogo vi si trova, dalla scuola alla strada.
Si tratta di due personaggi dalla caratterizzazione molto forte: tutto appare come natura vuole, dal volto scavato, stanco e sopraffatto dal dolore di lei, con tanto di velo sempre ben stretto in testa e vestita sempre con abiti anonimi e dai colori spenti, a significazione di un lutto vitale, alla condizione di adolescente alla deriva di lui, sempre ingobbito, inquieto e desideroso di fare a botte col mondo.
Un film ch’è una pagina interessante di quello che rimane di tanto dolore. Di una delle più tristi pagine della storia dell’umanità, che dovremmo ricordare, in ogni occasione dove si fa memoria. A tal proposito, molto interessanti nel film sono dei filmati amatoriali, molto forti e reali. Tristissima la sequenza dei bambini che cantano un canto standosene in fila e con alle spalle tutti ‘gli avanzi’ di un conflitto ancora in atto.
La sceneggiatura della stessa regista, anche produttrice del film, è di ampio spessore narrativo perché offre una panoramica molto vasta, sulla guerra in generale e ogni forma di crisi ch’essa porta, soprattutto quella legata alla scomposizione o vera e propria rottura dei rapporti umani. Si tratta, quindi, di un film molto coraggioso nei contenuti, e che, anche dal punto di vista della forma rimanda tanto a quello dei fratelli Dardenne, ma anche, in parte, il racconto di un certo cinema importante italiano, dai fratelli Frazzi e quello del primo Capuano.
Di questo film è molto interessante quel che rimane: soprattutto i botti, che non sono quelli solamente del Capodanno, ma piuttosto i rumori di una guerra che ha reso sordi, ciechi e senza parole ancora tanta umanità, con o senza alcun potere.
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