Regia di Zal Batmanglij vedi scheda film
La fantascienza ma senza fantascienza, o anche il thriller che non tradisce.
Ho capito che Brit Marling va tenuta d'occhio. Ho imparato a scandire gli elementi del suo linguaggio cinematografico e a comprendere la sua lingua, perché mi affascina, come se non bastasse il fatto che dei film che ho visto, questa ragazza, a trent'anni, oltre che essere protagonista è anche sceneggiatrice. Tra un po' comincerà a girarseli da sola, e addio. Per me, non sbaglia un colpo.
Forse perché ho imparato a seguire il suo stile, forse perché sono furba io, o forse semplicemente perché era davvero uno sviluppo della trama telefonato, beh, dai primi venti minuti avevo intuito quale sarebbe stato lo svolgimento e soprattutto il finale.
Ma non cambia niente: anzitutto perché il particolare modo di arrivarci, a questo finale che avevo intuito, è entusiasmante e minuzioso. E in secondo luogo, perché a differenza del mantra di Leonard Shelby in Memento, il bello dei libri non è scoprire cosa succede dopo.
Questa specie di profetessa, Maggie, che sostiene di venire dal futuro ed è così piena di segni e simboli da non rendere nemmeno possibile spiegarli tutti, si presenta in modo così spudoratamente falso, da subito, da lasciare che i due protagonisti (Peter e Lorna, che dovrebbero essere degli infiltrati con lo scopo di filmarla e sbugiardarla) hanno tutte le difese calate. Continuano, sì, a ripetersi l'un l'altro come in una cantilena che è una persona pericolosa, ma in fondo cercano di ripeterlo a se stessi, senza sapere esattamente a cosa dovrebbero fare attenzione. Rimane loro la paura, ma poca logica.
Al limite che anche la scena clou, a metà film, in cui lo spettatore è prima ingannato dalla 'rivelazione' di Peter e poi rassicurato dalle risposte che Peter dà a Lorna, non è veramente ciò che sembra; questo segreto che Peter avrebbe inventato solo per salvarsi e non esser scoperto, questa fantasia così dolorosa purtroppo ci convince nello stesso modo in cui convince Maggie, e a nulla valgono le successive parole di Peter per rassicurare Lorna, rimasta altamente impressionata dall'unico pianto mai visto di Peter. Ma quella scena ha insinuato il dubbio anche nello spettatore, che è stato trascinato a viva forza nel dolore vero o presunto di Peter. Non sono forse tutti i dolori sempre veri, in un modo o nell'altro? Almeno in parte. Nessun attore davvero bravo può fingere un'emozione al cento per cento senza cercare qualcosa dentro di sé.
Sound of my voice è un film potente. Non è originale, ma non importa, perché si fa gustare. E anche perché parla del confine molto poco netto tra realtà e percezione della realtà.
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