Regia di Damiano Damiani vedi scheda film
Damiani, uno dei creatori del film di denuncia in Italia - un cinema diretto, realistico, a volte stilizzato e sempre alieno dagli agganci con la commedia all'italiana - sottopone a critica la propria creatura, come se volesse dire che anche l'arma dell'impegno politico dev'essere usata cum grano salis. Tanto è vero che il protagonista del film sembra soffrire di un complesso di colpa nei confronti della vedova del giudice ucciso, sentendosi in obbligo di dimostrare che il suo film non c'entra con il delitto. Damiani sembra anche voler mettere in guardia una certa stampa, sempre tesa ad accusare il politico di turno, caricando lancia in resta e talvolta in dispregio della verità. Il difetto principale del film, peraltro sempre apprezzabile su tutti i punti di vista fondamentali, è che Damiani, autore del "Giorno della civetta" (1968), sembra essere rimasto con l'osso in gola di non essere stato lui a trasporre in pellicola il miglior romanzo di Sciascia, cioè "A ciascuno il suo", portato sugli schermi da Elio Petri nel 1967. Ed infatti, ad un certo punto, si ha l'impressione di seguire le tragiche avventure del professor Laurana. La bellezza di Françoise Fabian contribuisce ad ingenerare il sospetto che l'altrettanto bel protagonista s'innamori ad un certo punto della vedovella: la bravura di Damiani, però, sta, a questo punto, anche nel fare in modo di non cedere ad un finale che sarebbe stato tanto insulso. (20 febbraio 2008)
Un regista di sinistra si trova in Sicilia, dove ha realizzato un film sulla mafia, nel quale un giudice corrotto (che somiglia molto al reale procuratore Traini) viene infine ammazzato. Quando il vero Traini viene davvero ucciso, i maggiorenti locali cercano di incolpare un poveraccio, facendolo passare per un disperato esaltato dal film del regista. Il quale, però, sospetta che dietro all'omicidio vi siano giochi di mafia, appalti e potere. Ma la realtà sfugge un po' a tutti.
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