Regia di Anurag Kashyap vedi scheda film
CANNES 2012 - QUINZAINE DES REALISATEURS
Ieri pomeriggio a Cannes e' finalmente arrivato il capolavoro (sempre facendo riferimento solo ai film che ho potuto visionare fino ad ora, tralasciando le cronache: per quelle ci sara' tutto tempo per confutarle o meno). Avevo subito messo l'occhio - fra i film della rassegna sessantottina di cui sono fedele discepolo da anni ormai - su questa lunghissima epopea indiana; sentivo che non potevo perdermela (in genere ho una attrazione magnetica inversamente proporzionale a quella della mia compagna per le opere "fluviali", monumentali quanto questa); e cosi' per fortuna e' stato. L'euforia indiana contagiosa e colorata ci ha sorpreso gia' in coda quando alcuni membri dello staff tecnico del film si sono messi a distribuire tra il pubblico dei foulard coloratissimi che molti tra i presenti hanno subito in modo pertinente indossato.
Il film, diviso in due fluviali parti di eguale durata, narra l'epopea lunga un cinaquantennio che vede fronteggiarsi, nella citta indiana di Wasseypur, due potenti famiglie di gangster, il clan Khang e quello dei Singh. Una lotta senza quartiere, e non tanto per il predominio delle attivita' illecite che le due parti si contendono (carbone e smaltimento di materiale ferroso in particolare, piu' mille altri interessi), quando per la sete di vendetta che, in seguito all'uccisione a tradimento di Shahid Khan da parte di J.P. Singh, mette in moto una sanguinosa serie interminabile di attentati, agguati, morti violente e sangue a fiumi. Attorno a queste vicende cruente, il colore di una societa' indiana che si sviluppa nei suoi matrimoni acquistati a suon di banconote, amori incontenibili di un Sardar Khan, vero mattore della prima parte, con le sue due mogli che, rivali l'una dell'altra, non faranno che acuire la tensione tra le due opposte fazioni. In una esplosione narrativa in cui le gradevolissime, ritmate e scatenate canzoni indigene fungono anche da racconto che si salda alle mille storie raccontate, il film tiene il tempo in modo mirabile e le quasi cinque ore e mezza volano via come la piu' affascinante e pulp delle telenovelas. Nell'intervallo (necessario in quanto fisiologico, considerata la durata), il regista interviene tenendo a precisare che il film e' stato pensato per un pubblico indiano e l'improvvisa selezione ad un festival internazionale gli ha impedito di rivedere alcune scene ed effetti speciali non propriamente compiuti, per i quali egli molto dignitosamente si scusa con noi del pubblico. La precisazione non fa che accrescere la nostra unanime approvazione per questa opera titanica e godibilissima, quasi un Padrino in stile indiano diretto da un Michael Mann che emula Tarantino nelle molte scene di massacro. Un film che sa anche ridere di se' stesso con una ironia sottile e strappare sorrisi e risate contagione. Si esce dalla sala con la mente che trasuda l'orgia di immagini che ci e' stata piacevolmente proposta, pensando tra noi che il cinema e' una meraviglia per gli occhi e per la mente, specie quando si ha la fortuna e l'ardire di potersi imbattere in capolavori del genere.
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