Regia di Benjamín Ávila vedi scheda film
Dopo la morte del presidente Peron nel 1974, la destabilizzazione politica in Argentina lasciò il campo alle manovre di gruppi militari fascisti che dopo due anni si impadronirono del potere con un golpe.
Da quel momento in poi fu avviato il programma della Guerra sucia (“guerra sporca”) ossia la violenta repressione nei confronti non solo di gruppi guerriglieri marxisti o peronisti, ma in generale di qualunque forma di protesta e di dissidenza nell'ambito culturale, politico, sociale, sindacale e universitario.
La “guerra sporca”, condotta in segreto e al di fuori di ogni controllo legale da corpi speciali di polizia e gruppi paramilitari, costrinse alla fuga dal Paese le moltissime persone che volevano sfuggire alle arbitrarie carcerazioni ( con frequente corollario di torture) o addirittura alla morte (secondo valutazioni postume, nell'epoca vennero perpetrati almeno 2.300 omicidi politici e avvenne la “scomparsa” di circa 30.000 persone: i cosiddetti desaparecidos).
In questo clima si svolge la vicenda di Horacio e Cristina, una coppia di guerriglieri inizialmente sfuggita alla repressione grazie alla fuga all'Estero, che rientrano in Argentina sotto falso nome con i loro due figli. La vicenda narrata nel film è inquadrata secondo il punto di vista del figlio maggiore Juan (alias Ernesto), un ragazzo che, pur in un certo senso affascinato dai possibili aspetti eroici e avventurosi vissuti dai suoi genitori durante la lotta armata, sogna in realtà una normalità utopica in cui poter trascorrere in pace la propria adolescenza, fatta di sogni semplici e di primi amori, e corredata dall'angosciosa impossibilità di parlare e far comprendere le proprie (particolari) inquietudini ai suoi coetanei.
Ovviamente la storia è arricchita dall'evidente ingrediente autobiografico del Regista Avila, che ricorre all'espediente di sceneggiare le fasi più drammatiche del film con fumetti piuttosto che con sequenze cinematografiche, lasciando intuire quanto possa risultare angosciosamenete doloroso il ripercorrere anche dopo tanto tempo quelle ferite profonde della propria esistenza.
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