Regia di Benjamín Ávila vedi scheda film
Nel 1979 Juan ha 12 anni, poche settimane dopo spegnerà 13 candeline sulla torta di Ernesto Estrada. Il suo nuovo nome è un omaggio al Che e un’importante eredità battagliera, quella dei genitori combattenti contro il regime di Videla, rientrati clandestinamente in Argentina dopo l’esilio a Cuba. Il ragazzino con la sorella in fasce arriva a Buenos Aires in un furgoncino che trasporta arachidi al cioccolato, e presto scopre la parte dura sotto la sfoglia dolce del ricongiungimento familiare. A scuola è un alunno appena giunto da Córdoba, incontra il primo amore nella palestra dove María srotola con grazia ipnotica il nastro di ginnastica. A casa è un giovane guerrigliero con un nascondiglio scavato dentro la parete: dietro le scatole di croccanti snack che puntualmente ci ricordano la sua infanzia diversa, costretta, stratificata. Ávila riavvolge il filo di una gioventù superata e mai rimossa. Parte dalla (sua) prima persona (la madre desaparecida) e applica il filtro dolceamaro dello sguardo fanciullesco a una storia vera e dura. Non la spoglia delle asprezze, circonda il suo protagonista con il braccio di uno zio coraggioso e umano (l’ottimo Ernesto Alterio), sfuma la violenza inevitabile in animazione resistente, firmando un’opera intima e necessaria, che parla con pudore e coscienza di una lotta (in)giusta. Dove la perdita - dell’identità, della casa, del padre - passa dallo smarrimento del sistema binario Bene/Male, e le conseguenze dell’amore (di un genitore, per un ideale) sono più grandi dell’amore stesso.
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