Regia di Benjamín Ávila vedi scheda film
Immaginiamo che uno spettatore non sappia nulla degli anni orribili che il popolo argentino visse sotto la dittatura militare di Videla, quelli tra il 1976 e il 1981. Quale idea potrebbe farsi delle forze rivoluzionarie che cercarono per anni di organizzare la resistenza, mentre il numero di desaparecidos aumentava fino a toccare quota 30.000? È questa la domanda che mi sono posto alla fine del film. Già, perché pur arrivando nelle nostre sale con due anni di ritardo (sarà stata la coincidenza con la morte del tiranno Videla, avvenuta proprio nel 2013?), Infanzia clandestina segue il solco di film come Garage Olimpo, Hijos, Cronaca di una fuga e Complici del silenzio che si sono sforzati di riportare la memoria a quegli anni tragici. Il lungometraggio di Benjamin Avila, pur scegliendo un punto di vista inusuale (quello di un dodicenne figlio di due rivoluzionari del Movimento Peronista Montonero, tutti costretti a vivere sotto falso nome) e nonostante la dedica finale proprio alle vittime di quell'eccidio, finisce col laciare quasi completamente sulle quinte la Storia, concentrandosi su un dramma familiare che fa sembrare i militanti clandestini dei semplici fanatici. La trama racconta l'esistenza di Juan (Gutiérrez Romero), costretto in molti momenti a guardare il mondo dalle feritoie del nascondiglio dove è obbligato a riparare di tanto in tanto, il suo essere non allineato, la difficoltà nell'integrarsi a scuola, la prima cotta, l'indottrinamento e il controindottrinamento. Così il film scivola via tra momenti di vera poesia, tavole di fumetti che restituiscono la visione "dal basso" del piccolo protagonista e fasi di stanca, mancando di quella coerenza stilistica che avrebbe dato ulteriore fascino a un'opera comunque coraggiosa.
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