Regia di Benjamín Ávila vedi scheda film
Ogni paese ha la sua Storia. Quella dell’Argentina si concentra quasi esclusivamente sugli avvenimenti che negli anni settanta scandirono la scontro tra il regime militare ed i suoi oppositori. Un buco nero in cui s’infilano i fantasmi di un paese in cerca di riscatto attraverso il ricordo e la metabolizzazione degli aspetti più bui di quel periodo. Un percorso salvifico a cui il cinema si presta in maniera spontanea grazie alle possibilità divulgative ed alla forza catartica delle sue trasposizioni. Ed è forse questo motivo ad aver convinto il regista Benjamin Avola a ripercorre gli anni della prima giovinezza, scandita dalle vicissitudini dei genitori, militanti anti regime costretti a vivere sotto copertura per sfuggire alle conseguenze del proprio attivismo politico. “Infanzia clandestina” c'è li fa incontrare all’indomani del campionato del mondo di calcio del 1978 vinto dalla nazionale bianca azzurra, catapultandoci nella quotidianità di Juan, altergo dell'autore, e della sua famiglia allargata, animata dall'entusiasmo di uno zio sognatore ed ingolosita dalla scoperta del primo amore nato sui banchi della scuola che il ragazzo ha iniziato a frequentare dopo l'ennesimo trasferimento. Se le vicissitudini sono tipiche di un ragazzino della sua età, nei fatti Juan deve convivere con un mondo di adulti condizionati dalla difficoltà di rimanere coerenti agli ideali di una vita, e, in senso molto più grammatico, dalla paura di venire scoperti dalla polizia.
Un doppio binario, pubblico e privato, storico ed esistenziale, amalgamati con un equilibrio ed una sobrietà derivati dalla scelta di raccontare la vicenda attraverso un unico punto di vista, quello del piccolo protagonista, e secondo i toni di un intimismo che va di pari passo con la decisione di lasciare fuori campo la violenza dello scontro armato. Ad essere privilegiate sono quindi le caratteristiche di autosufficienza e autoreferenzialità che contraddistinguono le rappresentazioni di un età in cui la realtà viene interpretata secondo un ottica deformante e fantasiosa. In questo modo il quartiere e la casa diventano i simboli di un’isola felice, nonostante tutto, in cui anche la morte deve fare un passo indietro, cancellata dai sogni che riportano in vita le persone amate, oppure trasfigurata nei disegni animati che aprono e chiudono il film, scelti da Avila per raccontare i momenti più drammatici della vicenda, quelli dominati dalla violenza e dalla perdita, che forse, proprio per essere esibita con uno stacco così eloquente, sembra esistere solo su un piano artistico e spettacolare.
Ecco allora che i difetti da cui certamente “Infanzia clandestina” non è esente finiscono per perdere la loro specificità, assumendo contorni meno definiti e più smussati: così accade per lo schematismo dei rapporti familiari, caratterizzati da figure edulcorate dalle sfaccettature che nel bene e nel male appartengono alla natura umana. Come pure le contraddizioni di una lotta armata che non lascia strascichi, e che il film fa sentire solo quando la coscienza è sollecitata dal mondo esterno, rappresentato a turno dalla rimostranze della nonna che vorrebbe assicurare ad Juan ed alla sorellina un futuro migliore, oppure in maniera più drammatica nella decisione di abbandonare l'ultimo scampolo di normalità per sfuggire alle grinfie del potere. A coinvolgere è allora lo sguardo del piccolo protagonista, smarrito ed impotente di fronte all’imponderabilità della vita, e poi tutto l’inserto dedicato all'innamoramento di Ernesto, che Avila racconta con una tenerezza per nulla ammiccante. Quasi un risarcimento alla durezza degli sviluppi che concludo il film, consegnando Juan ad un destino ancora tutto da decidere.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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