Regia di Benjamín Ávila vedi scheda film
È anche per questo che lottiamo. Lo ricorda lo zio del piccolo Juan al suo fratello e compagno di rivoluzione. La battaglia contro un regime autoritario ed assassino - come quello della giunta militare che governò l’Argentina dal 1976 al 1983 – deve anticipare lo scopo per il quale è combattuta. Occorre sentirsi liberi e felici, anche quando si è braccati dalla polizia. E non bisogna mai rinunciare alla verità, benché si viva sotto falso nome, dovendo mentire a tutti. Juan è costretto a farsi chiamare Ernesto e a dire di venire dalla provincia di Cordoba. È l’unico modo per poter andare a scuola e riprendere una vita più o meno normale, dopo essere rientrato, con i suoi genitori, da un periodo di esilio a Cuba. Suo padre e sua madre sono membri della resistenza armata. Ed i suoi incubi sono popolati di pistole che sparano e di gente che viene ferita. Le sue fantasie sono piene della guerra che crea vittime ed eroi, che uccide e glorifica, e costruisce dal nulla miti che fanno sognare, come quello di Che Guevara. Ma la mente si stanca, a volare sempre così in alto, mentre il corpo resta ancorato alla terra, ai luoghi bui e nascosti dove spesso deve correre a nascondersi. Per questo Juan/Ernesto, ad un certo punto, decide di scrollarsi di dosso l’opprimente peso della clandestinità per aprirsi alla vita. All’amore, anzitutto. Al sentimento che prova per Maria, la sorella di un suo compagno di classe. Del resto è impossibile crescere, se si resta lontani dalle cose del mondo. Il primo lungometraggio a soggetto di Benjamin Avila, figlio di una desaparecida, parla del retroterra umano dell’ideologia militante, della necessità di essere uomini, prima che soldati. Questa è la parte più difficile della missione, ma è parte integrante dell’obbligo a non avere paura. L’anima non si può mutilare per il timore di finire in carcere, o, peggio, uccisi a sangue freddo. Il martirio, prima che sacrificio di sé, è testimonianza, concreta, esemplare e coraggiosa, di una realtà che sfida le logiche del tempo, però è certamente possibile. È in questo senso che l’innocente semplicità coltivata da Juan diventa grande: un bambino riesce ad essere se stesso, fino in fondo, senza riserve, fuggendo quando dovrebbe restare, fermandosi quando le circostanze imporrebbero di correre via per mettersi in salvo. L’eroismo è una questione di sincerità e coerenza, di fiducia incondizionata nel domani, che sdrammatizza la pericolosità dell’avversario, sottraendogli autorevolezza fino a farlo sentire impotente, sotto la facciata della sua ostentata arroganza. Questa è una storia come tante; è continuamente insidiata dallo spettro della morte violenta, che però non ne intacca la tensione emotiva fatta di piccoli sobbalzi del cuore. I proclami ideologici e le condanne politiche possono urlare, dentro le teste e nelle piazze, ma, nell’universo segreto della nostra interiorità, siamo tutti i silenziosi sovrani di un regno che, senza brame di potere né ambizioni di conquista, vive intensamente la sua umile pace.
Infancia clandestina ha rappresentato l’Argentina agli Academy Awards 2013.
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