Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film
CANNES 2012 - QUINZAINE DES REALISATEURS
Nella mia prima giornata "cannese", festival gia' di per se' poco accessibile anche nelle sezioni piu' democratiche come la Quinzaine, mi trovo gia' dall'inizio a dover fare i conti con una scelta che mi risulta subito molto sofferta: visionare l'ultima opera di Gondry, esperimento di cinema collettivo in collaborazione con una manciata di talentuosi studenti, pellicola forse piu' nota di questa gloriosa rassegna quest'anno, o dedicarmi all'ultima opera del grande maestro Raoul Ruiz: scelgo questo pensando che prima o poi Gondry trovero' il modo di affrontarlo, mentre per Ruiz vedo molto piu' complessa questa possibilita'. La sala gremita rende omaggio al prolifico maestro cileno scomparso nell'agosto scorso, sudamericano certo, ma anche molto francese, d'adozione e per devozione ad un paese che lo ha saputo coltivare e valutarne l'immensa cultura, arguzia e la preziosa capacita' di rappresentazione, visiva e traspositiva. Sul palco salgono la compagna di tutta una vita, gli attori principali (tra questi un intenso Christian Vadim , figlio di celebre padre e madre - la Deneuve direi - incredibilmente maturo se si ripensa alla leggerezza quasi magica delle "Notti di luna piena" del grande Rohmer e alla inconsistenza di "College" di Castellano e Pipolo in pieni anni '80, qui alla nona prova assieme al grande regista cileno), i produttori di tutta la sua lunga avventura cinematografica e culturale.E il film e' un'opera che parla di bilanci, di un vecchio che, alla soglia della pensione, vede la sua vita passargli davanti, tanti decenni che scorrono via veloci, e ricordi che si fanno piu' vivi man mano che si riferiscono a periodi piu' lontani della sua non breve esistenza. L'incanto di una macchina da presa che sorvola letteralmente incantevoli paesaggi selvaggi sulle coste oceaniche nei pressi di Antofagasta, quasi come un volo dell'anima sui luoghi del cuore, geografici come questo caso, ma anche angoli della propria passione e dei propri interessi, che individua e rivive grazie alla presenza di tre personaggi fondamentali, ognuno angelo custode di almeno tre tappe fondamentali della propria giovinezza: Beethoven, il vecchio pirata con la gamba di legno Long John Silver (da Stevenson) e lo scrittore Jean Giono che l'uomo rivede come suo maestro di vita oltre che di cultura. Un film che vive di ambientazioni stravaganti in interni di appartamenti tra il barocco e il kitch, di scenografie volutamente posticce e sovrapposte come sfondo ai primi piani dei protagonisti, un modo ingegnoso che rende ed esalta il viaggio della mente del vecchio alla ricerca delle emozioni della sua giovinezza. Ma questa e' ormai lontana, anche se i ricordi sono ancora vivi e lucidi, e dunque l'anziano cerchera' nella propria fine, anche violenta, la soluzione per tornare a rivedersi nella "notte del faccia a faccia" che e' un po' la traduzione del titolo originale dell'ultimo grande, bizzarro film del grande maestro. Un film pieno zeppo di ironia, di scenografie e situazioni grottesche alla Bunuel, come quando il vecchio e se stesso bambino si avventurano all'interno della canna dell'arma da fuoco che gli togliera' la vita, come quando il protagonista ormai morto viene richiamato da sedute spiritiche a ripetizione che riuniscono un po' tutti i personaggi che lo hanno accompagnato in questa sua movimentata e vitale esistenza. Non pero' un'opera di addio, perche' l'instancabile regista - ci e' stato fatto sapere proprio in sala dai suoi cari - al momento della morte lavorava gia' alla da un paio di mesi alla pre-produzione di un grande affresco dell'epoca napoleonica; ma indubbiamente un'opera influenzata inevitabilmente da un'eta' in cui i bilanci, i resoconti del tempo che e' passato, sono inevitabilmente necessari per trovare la forza e la speranza di proseguire ed affrontare il capitolo finale: quello dei rimpianti e della nostalgia.
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