Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Dollari versus rischio ambientale, anzi no.
La promessa di una montagna di dollari sonanti versus la quasi certezza dell’inaridimento dei suoli; dell’inquinamento delle falde; della violenza perpetrata nei confronti di madre natura e dei propri figli… i quali, d’altronde, potranno disporre dei dollari per fuggire via lontano.
Ma (parafrasando un saggio corvo nero) non si può fuggire via per sempre.
L’America più bella (forse troppo a voler essere pignoli, ove solo si pensi, ad esempio, alla ferrea rettitudine di certi contribuenti di domani che oggi vendono limonate) fa da sfondo ad una vicenda di povertà (in tutti i sensi) e diritti negati. Quelli di chi non è libero di fare alcuna scelta quando su entrambi i piatti della bilancia insiste la paura. Una vicenda terribilmente attuale e certamente fonte di grande interesse, ma raccontata senza particolare originalità.
Promised Land risulta, così, un buon film, ma alquanto “paraculo”. Propina la denuncia del conflitto più meschino (quello fra il niente - la povertà economica - ed altro niente; la povertà morale) con annesso patetico sussulto buonista da quattro soldi (perché svenduto malamente). E segue pedissequamente tutti i canoni ed i clichè del tipico film drammatico platealmente piacione e “sborone” (prendi l’americano tipo seduto al bancone di un pub, una bella donna a portata di mano, un buon numero di drink nell’altra ed un dispettoso pretendente/concorrente in agguato ed il gioco è fatto), con immancabile colpo di scena “pre”-finale (ma chissà come mai la tecnica di smascheramento usata è seeeempre - ma dico sempre - la stessa… mah).
Cioè, forse è vero che il fine (nobile) giustifica i mezzi (a dir poco convenzionali), ma è comunque difficile non avvertire, a fine operazione, un odorino sgradevole. E (tanto per chiarire) non è quello (un po’ rustico) del letame di campagna, né l’odore di gas “verde” o (per vero) quello dei veleni usati per estrarlo.
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