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Promised Land

Regia di Gus Van Sant vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Promised Land

di alan smithee
6 stelle

Nuova collaborazione tra l’attore Matt Damon e Gus Van Sant dopo le fortune (e gli Oscar) del “Genio ribelle” di una quindicina d’anni orsono. Questa volta non si ripete il fortunato binomio scrittura/interpretazione della coppia Damon/Affleck, ma se ne crea un altro non meno interessante: quello Damon/Krasinski che forse funziona ancor più del sopravvalutato “Genio” di cui sopra, in quanto la sceneggiatura appare sempre molto classica e lineare, ma anche molto scorrevole e fluida, coadiuvata da una regia e direzione degli attori sapiente ma discreta, funzionale e schiettache mai si permette di assurgere a protagonista a scapito della vicenda che alterna dramma sociale a intima riflessione su cosa si può divenire oggi quando si ricoprono ruoli delicati che pongono sulla comunità scelte cruciali e strategiche dalle quali dipendono vite, destini, salute umana.

La storia è incentrata sul lavoro di persuasione condotto da un brillante quarantenne Steve Butler e dalla sua eccentrica collega (la solita irresistibile mascolina Frances McDormand), rappresentanti di una grande multinazionale operante nel comparto dello sfruttamento delle energie gassose; il loro intento è quello di ottenere l’autorizzazione dai vari proprietari dei vasti appezzamenti, alla perforazione di una intera vallata agricola di uno dei tanti immensi entroterra statunitensi. Le premesse dell’offerta e le promesse riguardo ad un futuro che si presenta incerto e stentato appaiono davvero allettanti per i proprietari terrieri ridotti ad una economia assistenziale di pura sopravvivenza e Butler ha l’astuzia di presentarsi sempre sottotono, quasi timido e dimesso, ma in fondo sicuro di se’, riuscendo a sfoderare sicurezza e decisione nel momento opportuno per strappare consensi pressoché unanimi col minor dispendio di sostanze a carico della potente ed avida multinazionale. Butler diviene in poco tempo la punta di diamante tra i dipendenti adibiti all’opera di vendita e persuasione, e grazie alla sua discreta ma ferma disinvoltura e abilità contrattuale, lo sfruttamento del sottosuolo viene scambiato con una remunerazione ad ettaro percorso e con una percentuale sulla produzione per il futuro che viene percepita in modo positivo da quasi tutta la popolazione rurale locale. In fondo come si può dire di no ad una offerta su terreni pressoché gerbidi e ormai quasi totalmente improduttivi, popolati di contadini perdenti e già vecchi e rassegnati dentro, nonostante l’anagrafe ne denunci una relativa sostanziale giovinezza?

Quando tutto sembra filare per il meglio, come di consueto e come già verificatosi nei casi precedentemente conclusi, l’intervento di un anziano ingegnere in pensione riciclatosi a tempo perso come professore di scienze (il grande vecchio e sempre intenso se non commovente Hal Holbrook) apre gli occhi ai molti cittadini ignari su uno scenario apocalittico che la trivellazione sconsiderata delle falde acquifere coadiuvata dall'utilizzo imprudente e senza scrupoli di sostanze chimiche nocive potrebbe arrecare sulla terra circostante, sui pascoli e sul bestiame e quindi sulla popolazione. E’ l’inizio di una frana che parte timida ma cresce e fa crollare a poco a poco tutte le sicurezze, le speranze di arricchirsi facilmente: certezze che vengono meno anche nel giovane risoluto e per nulla arrendevole protagonista, che agisce con lo sprezzo e la sicurezza della sua gioventù e del suo carattere orgoglioso, ma in fondo anche in buona fede, consapevole delle fatiche troppo poco remunerate delle sue origini contadine dalle quali egli volontariamente ha voluto riscattarsi. “Sono un uomo onesto” ripete quasi ossessivamente Butler alla maestrina carina (una Rosemarie DeWitt dal viso pulito e l'aria semplice e schietta) con la quale flirta dopo una notte di ebbrezze; ma lo dice quasi più per lui che per chi si sta accanto, quasi per riappropriarsi di una certezza venuta meno.

A rendere ancora più complicata un’azione di proselitismo che pareva quasi routinaria contribuisce l’arrivo nel paese di uno spavaldo spilungone (John Krasinski appunto, irresistibile camminata alla Pippo della Disney su un volto che volge all'ottimismo piu' sfrenato, nonostante le notizie cupe ed apocalittiche di cui si fa portatore), ambientalista allegro ma irremovibile che denuncia, rivendicandola come drammatica esperienza personale, i disastri arrecati dalle trivellazioni selvagge sulle sue terre in un non lontano altro contesto rurale.

Ma nel prosieguo della vicenda lo spettatore scopre che non è sempre tutto uguale come vuole apparire, e la potenza delle multinazionali arriva sino alla perversione e all’autolesionismo pur di aver garantito un successo che appaia almeno sulla carta condiviso dalla comunità ingenua e inevitabilmente disinformata.

Il film, corretto, ben scritto e recitato, non rinuncia ad una sorpresa finale che capovolge situazioni e verdetti ed appartiene al filone “vansantiano” dei film su commissione, girati con buon mestiere e ottime intenzioni di denuncia su problematiche sociali ed umane di indubbio interesse: opere di impegno civile come Scoprendo Forrester, lo stesso Will Hunting, e pure quel bellissimo ed appassionato Milk di pochi anni orsono, che mantengono l’impronta dell’uomo di cinema formato e solido e che oltretutto non perde un colpo e non sbaglia un film. Personalmente non riesco ad accettare questa categoria con lo stesso entusiasmo incondizionato che ho provato per film più intimi (e talvolta ostici) come “My own private Idaho, Cowgirl, Drugstore Cowboy, Da morire, Elephant e le altre opere importanti, recenti, piccole di struttura ma grandi intrinsecamente che sono seguite a quest’ultimo, incentrate sul disorientamento e la confusione dell’età adolescente.

 

 

 

 

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