Regia di Antonio Mendez Esparza vedi scheda film
Pedro torna qui, nel villaggio messicano di Guerrero, lasciandosi alle spalle un’America di fatica che nell’opera prima di Antonio Méndez Esparza non appare mai eppure percorre inquieta la gestualità del quotidiano. È un sentimento, come tutti quelli impressionati sulla pellicola minimalista, un presagio di precarietà che stringe la famiglia di Pedro attorno alla chitarra, sulle sedie di plastica che arredano la piccola casa. Negli Stati Uniti Pedro ha lavorato, dubitiamo abbia frequentato un’altra donna come pensa talvolta sua moglie Teresa mentre si addormentano sotto la tenda che separa il loro letto da quelli delle bambine. Sicuramente ha messo da parte lo stipendio e ha accarezzato il sogno di imbastire un complesso musicale: in patria, dove il raccolto oggi sembra rigoglioso ma domani potrebbe non bastare, e intanto Teresa partorisce la terza figlia che lui vorrebbe chiamare Luz. Esparza inquadra l’attesa e le complicazioni della nascita senza indugiare sull’evento, perché l’accadimento nel suo film è il flusso stesso dell’esistenza, ripartito in capitoli che non spezzano l’approccio documentaristico: delicato e tenace, poetico e politico, animato dalla volontà inequivocabile di gettare lo sguardo dentro la frontiera. Qui e là ma soprattutto nel mezzo di un uomo scisso: tra un luogo abitato, radicato negli affetti e negli angoli d’interni fiocamente illuminati, e un pedaggio obbligato, restituito come lo spettro impalpabile ma incombente di un passato recente, potenzialmente infinito.
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