Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Juan (Adolfo Jiménez Castro) è un ricco proprietario terreno. Decide di lasciare la confortevole vita di città e di trasferirsi nella sua tenuta di campagna insieme alla moglie Natalia (Nathalia Acevedo) e alle piccole figlie Eleazar (Eleazar Reygadas) e Rut (Rut Reygadas). Solo le bambine sembrano non soffrire dell’ambiente spartano in cui stanno crescendo, perché i genitori, a stretto contatto che le difficoltà della vita rurale, iniziano progressivamente a sgretolare le proprie certezze di coppia. Cercano di trovare sfogo in strani raduni orgiastici, lasciandosi totalmente avvolgere dalla pura esposizione degli istinti. Intanto, una stana creatura luminescente si aggira intorno alle loro vite, insinuando un alone di mistero arcano appena mitigato dalla bellezza ancestrale della natura.
Carlos Reygadas è un autore che non fa sconti, anzi, ad ogni nuovo film diventa sempre più criptico e sfuggente, chiedendo allo spettatore uno sforzo supplementare per cercare di entrare in connessione col suo mondo simbolico. L’ostinata anti spettacolarità (di derivazione “bressoniana”) che persegue nell’opera di architettura della messinscena è pari solo all’indole provocatoria che ne sorregge le soluzioni visive. Se non fosse per il respiro elegiaco garantito da un modo pregevole di catturare con la macchina da presa l’essenza naturalistica del mondo (di chiara impronta “tarkoskijana”), il suo cinema potrebbe risultare inutilmente eccessivo, vicino al limite della sopportabilità umana. Queste caratteristiche son presenti con ancora più evidenza in “Post Tenebras Lux” (premiato a Cannes per la regia), un film attraversato da una marcata matrice visionaria, e nonostante presenti un equilibrio meno felice rispetto ai lavori precedenti tra la linearità narrativa e l’uso simbolico delle inquadrature, rimane un film dal fascino catturante, carico di sotto testi da decodificare e di immagini (alcune bellissime) da guardare. Con un tripudio naturalistico a fare da cornice estatica alle insane contraddizioni del genere umano. Come in “Luz silenciosa”, siamo a stretto contatto con la natura più vera e più dura, ma mentre qui sono le forze del bene a indirizzare con rigore religioso le azioni morali dei protagonisti, in “Post Tenebras Lux” le forze del male fanno breccia sugl’istinti primordiali dell’uomo per cercare di svincolarlo dalla schiavitù del peccato.
Il film si apre con una bambina che si aggira da sola in una landa acquitrinosa. Intorno a lei ci sono mucche, galline e cani randagi, che la attorniano senza fargli niente. Poi si entra in casa, e qui vediamo comparire uno strano essere avvolto in un rosso luminescente, una sorta di “Belzebù” con tanto di testa da caprone, coda scodinzolante, genitali in bella mostra e una cassetta di attrezzi (?) in mano. Si aggira circospetto per la casa e dopo aver controllato come vanno le cose nelle stanze dei bimbi, apre la porta ed esce. La cosa risulterebbe avvolta da un evidente senso del ridicolo se non fosse per le atmosfere intrise di allegorie cui ci ha abituato l’autore messicano, oltre che per il fatto che esiste sempre un perché dietro determinate scelte narrative. Poi è chiaro che questi perché vanno valutati, sia per come vengono trattati dal punto di vista visivo, sia per come si innestano all’interno di una poetica più ampia. Un suggerimento ci viene fornito dal titolo stesso del film, sufficientemente metaforico per non invitare chi guarda a fornire delle possibili interpretazioni. Il buio che viene dopo il tramonto fa pensare alle tenebre come ad una presenza inestinguibile dal mondo sensibile, una forza tentatrice che adombra l’essenza stessa della luce ricavabile dai doni meravigliosi offerti dalla natura. A far pensare questo ci sarebbe anche la scelta di girare la maggior parte del film (tutti gli esterni in particolare) usando una focale che tende a sdoppiare i contenuti posti ai margini dell’inquadratura (una scelta ottica che mi ha ricordato quelle adottate da Sokurov per “Madre e figlio” e “Faust”). Un effetto volutamente straniante che si impossessa in maniera brusca della scena, prodotto (evidentemente) da un occhio che tende a deformare lo sguardo sul mondo per donargli una veste di sinistra ambiguità. L’occhio può essere quello luciferino del novello Belzebù visto ad inizio film, mentre sembra architettare gli scenari di un nuovo giorno che è spuntato dall’alba. Un occhio cinico e tentatore, teso a rendere materiale ciò che di spirituale esiste nel rapporto dell’uomo con le cose della natura, a indirizzare le relazioni umane con l’ausilio del solo istinto, carnale e violento. Oppure può essere quello provocatorio del regista, che gioca a destrutturare la continuità visiva negandogli spesso gli adeguati appigli grammaticali. In ogni caso, sembra uno sguardo in soggettiva che tende ad insinuarsi sornione nelle cose che accadono : nella crisi familiare di una coppia, in una sauna orgiastica, tra gli alberi che cadono, insieme agli animali liberi di agire, dentro una partita di rugby, con le bambine che giocano, ignare di ogni cosa e iniziate sin da piccole alle pratiche adulte (bella tutta la sequenza in cui il padre gli imbraccia un fucile per imparargli la caccia alle anatre). Tutto è ricondotto ad una dimensione altra, sospesa tra la modernità del linguaggio usato e la natura ancestrale delle azioni svolte, tra una crisi tutta contemporanea che vuole trovare il suo sfogo in una spinta carnalità sessuale e la sempiterna voracità degli istinti. Gli angeli che popolano l’ordine bucolico e i demoni che ne attentano gli equilibri convivono nello stesso spazio ed insieme preparano gli scenari che la forma cinema sa architettare per chiunque voglie attingere dalle sue arti magiche.
Film come “Post Tenebras Lux” mi spingono spesso a riflettere su quale debba essere la funzione del Cinema. Io credo che sia giusto, oltre che naturale direi, che il Cinema risponda a più esigenze e che chi, a diverso titolo, è chiamato ad esprimere un giudizio di valore, si preoccupi principalmente di definire se si tratta di un prodotto intelligente o di una cosa inutilmente banale. Fatta questa premessa di ordine generale, se noi dall’insieme estrapoliamo solo la forma cinema che tende decisamente ad essere, più uno strumento di riflessione speculativa sullo stato delle cose che un mezzo di pura evasione, allora dobbiamo predisporci anche a cambiare i parametri di riferimento. Ovvero, piuttosto che parlare di film bello o brutto (o giù di lì) definire se e quanto sa essere necessario in relazione ad un’arte che, per sua intima natura, è in continuo movimento perchè vive ed è partecipe dell’immaginario che cambia sempre pelle. Ecco, io credo che Carlos Reygadas sia un autore necessario per il modo del tutto personale con cui si confronta con le mutevoli potenzialità offerte dell’arte cinematografica, per come sa offrire al rinnovamento della sua grammatica altre soluzioni visive. Altre perché originali ed originali perché sfrontatamente coraggiose. Poi questo cinema può piacere o non piacere, è pacifico, come il ricercare l’esigenza di rapportarsi con un cinema più speculativo in autori ritenuti più affini e più capaci di ottemperare allo scopo richiesto. Ma resta il fatto, a mio avviso, che nel suo modo di lavorare sono presenti le possibilità potenziali di offrire al Cinema sempre nuovi sbocchi, diversi modi di esprimersi, altre strade per respirare. Anche in “Post Tenebras Lux”, nonostante segni un passo indietro all’interno della sua produzione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta