Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Per la prima volta in vita mia, ho visto lo stesso film per due volte consecutive, a distanza di pochi minuti. E' capitato a "Post Tenebras Lux", ultima controversa fatica del messicano Reygadas. Tanto mi hanno colpito alcune sue immagini alla prima visione, che ho sentito l'urgenza di ributtarmi a capofitto in quell'affascinante flusso audio-visivo, difficile come la miglior poesia ma capace di dare emozioni impagabili. Mi ha fatto quasi lo stesso effetto estasiato che mi capitò anni fa guardando per la prima volta i film di Lynch. "Post Tenebras Lux" è un film di due ore, che si compone grossomodo di una ventina di sequenze. E' ambientato in Messico, ma una sequenza è parlata in francese e altre due in inglese. Ci sono decine di attori, la maggior parte comparse o interpreti secondari. Ci sono tanti animali, mucche e cani soprattutto. C'è la natura più verde e selvaggia; cieli colorati; mari in burrasca. C'è una varietà di ambienti e di toni impressionante. Classi sociali differenti, che si incrociano e si mescolano. Ci sono almeno un paio di flash-forward e in uno di questi mi è parso di cogliere una palese incongruenza narrativa. Ci sono sequenze che si ripropongono con alcune variazioni, secondo una irregolarissima struttura "a rime" (visive) i cui versi (le sequenze) seguono una metrica misteriosa. La focalizzazione dei personaggi è mista: il punto di vista è ora quello dei bambini, ora quello di Juan, ora quello di sua moglie Natalia, ora di "Sette" (come suggerisce la locandina), ora della Natura o del Demonio. Ci sono dettagli sibillini, capaci di contenere in una sola inquadratura il senso intero del film, come nei frattali. C'è una fotografia che sfoca e sdoppia alcuni tratti dell'inquadratura, come se vedessimo il film attraverso un vetro smerigliato, suggerendo che ciò che vediamo è solo illusione, riflessione, proiezione. Ci sono immagini irreali, anti-naturaliste. "Post Tenebras Lux" è uno di quei film che si prestano ad analisi e contro-analisi, sequenza per sequenza. Un film dall'acceso sperimentalismo, degno delle migliori avanguardie mute, filtrate per decenni di cinema d'autore mondiale. Impossibile, almeno per me, una trattazione sintetica e, allora, procedo per macro-sequenze, cogliendo di volta in volta le impressioni che ho ricevuto e, chiaramente, invitando chi non ha ancora visto il film a non proseguire la lettura, causa spoiler ripetuti. Dopo le tenebre la luce: sì, quella del Diavolo però. Le tenebre sono quelle che avvolgono la piccola Rut e il bestiario che la circonda, sola, inconsapevole, sperduta in una radura tempestata, in un incipit giustamente elogiato: l'incubo di ogni bambino, quello di rimanere da soli in un posto buio senza mamma e papà, ma anche l'ebbrezza della scoperta, la gioia innocente di ricongiungersi con la natura, vegetale e animale. Queste le emozioni (intense) che battezzano il film. L'entrata in scena, furtiva, di Lucifero (colui che "porta la Luce", la "lux" del titolo, e che infatti è rappresentato da un accecante fascio di luce rossa) in una casa qualunque, in una famiglia qualunque, coglie un bimbo qualunque (forse lo stesso Reygadas da piccolo) in un ambiguo controcampo epifanico (è il Male che si rivela al bambino o quest'ultimo che coglie di sorpresa Lucifero?). La rappresentazione di Satana secondo una iconografia classica rimarca il punto di vista infantile. Il Male, dunque, in tutte le sue (dis)umane declinazioni segna l'opera sin dal principio: benestanti padri di famiglia che scaricano la loro frustrazione sessuale picchiando i loro cani, maltrattando gli inservienti, diventando porno-dipendenti; ex-tossici che si barcamenano fra velleità di riscatto e deturpazioni prezzolate della natura; una comunità in preda ai vizi più classici, alcool, droga, puttane. Al presente (?), corrotto e maligno, succede il Tempo dei ricordi, delle previsioni, delle fantasie, dei sogni, dei viaggi: dislocazioni spazio-temporali condotte con disinvoltura, senza porre alcuna enfasi, come se fossero anch'esse parte del medesimo indefinito tempo presente. E così uno sfarzoso pranzo di Natale con tutti i parenti, una sauna in cui ritrovare il piacere erotico perduto nelle nevrosi di una coppia disfunzionale, una festa paesana con rhum a go-go, una gita al mare in cui perdersi nuovamente al calare delle tenebre e, colpo di scena, una partita di rugby in un college inglese (probabilmente, un ricordo di adolescenza di Reygadas) diventano vividi e sconvolgenti pezzi del complesso puzzle dell'esistenza, quella di Juan o forse di qualcun altro, ieri oggi e domani. O forse mai. Difficile (e forse inutile) capire e spiegare ogni singola sequenza. Credo che Reygadas abbia voluto compiere una "recherche", fatta di momenti vissuti o ipotizzati, frammenti disarticolati di vite: al di là della presunta astrusità di questa parte di film, va dato atto a Reygadas di aver saputo proporre un'idea di "ricerca del tempo perduto" lontana dai modelli che gli si ponevano: Resnais, Fellini, Bergman. Reygadas moltiplica i punti di vista (Juan, Natalia, i bimbi che poi forse altro non sono altro che Juan da piccolo, il mondo intero), componendo una sinfonia di umori, sensazioni, patemi, luoghi, situazioni, esperienze, ma soprattutto attimi di esistenza che appartengono potenzialmente a chiunque. Colpisce l'inserimento della partita di rugby, ossia qualcosa che non c'entra niente con la storia raccontata, men che meno col Messico (Paese in cui il rugby non è certo lo sport più diffuso): ma ci tornerò alla fine. Al giro di boa, "Post Tenebras Lux" torna al presente, o presunto tale. Esplode la nevrosi sessuale di coppia, ma il conforto del focolare domestico impedisce che calino nuovamente le tenebre Il Diavolo però ci mette la coda e coglie il momentum nel suo tipico modo vigliacco: la sacralità del corpo umano viene violata dal piombo delle pallottole, così come il silenzio della natura da uno sparo nel buio. Quest'ultima digressione verso un altro luogo in un altro tempo è semplicemente un momento di grande poesia: quel ragazzo (ancora Juan/Reygadas da piccolo?) che si tappa le orecchie...Ma è impagabile, e carica di intensa pietas e sommesso furore politico, anche l'irruzione dell'agiata famiglia di Juan al pranzo di quella umile di Jarro. Sortito l'effetto malefico, non resta che una lunga doppia deriva: quella della vittima e quella del carnefice. Bellissimo, straziante, amarissimo, patetico nel senso più alto del termine il raccoglimento della famiglia di Juan nell'agonia della malattia, nei ricordi d'infanzia, nell'umana comprensione e accettazione di ogni cosa (il Bene, il Male), con Neil Young a ricordarci che la vita, ciò che noi proviamo ed esperiamo, è solo illusione; è qui che Juan parla come se fosse il bambino che era e si rivede nei gesti dei suoi figli; è qui che si trova la "scatola nera" del film, l'esposizione del motivo poetico centrale dell'opera, ossia la contemplazione dell'esistenza come un fluire di accadimenti slegato dalla singola persona e vissuto/percepito come "sinfonia del tutto". E poi quel dilatato, annichilente finale, in cui muore tutto: le persone, la natura, la luce...Resta il tempo per un'altra partita di rugby, con il capitano a ricordare che "non contiamo come individui, ma come squadra". Il rugby, dunque, a chiudere (?) i conti. Lo sport più completo, più violento, più nobile, dove un giocatore deve sapere fare di tutto (correre, passare, calciare, stendere l'avversario), compreso accettare la sconfitta: una brillante metafora della vita, non così fuori luogo come potrebbe sembrare. "Post Tenebras Lux" è un film personalissimo, ma tutt'altro che narcisista. Parla di noi, della vita, del tutto. Si riallaccia, talora citandoli, a grandi maestri sia moderni sia contemporanei: Tarkovskij (il montaggio che scolpisce il Tempo: qui, a dire il vero, divelto più che scolpito), Bresson (il Male inestirpabile dall'Uomo), Kubrick (la sauna-orgia-incubo), Sokurov (la distorsione fotografica), Tarr (l'utilizzo di attori "istintivi", impossibili da dirigere, da gestire, da domare, ossia animali e bambini), Dumont (il paesaggio come rappresentazione dell'interiorità dei personaggi), Lynch (l'enigma-Diavolo), Roy Andersson (l'attonito surrealismo nero di una testa auto-mozzata), forse il Trier di "Antichrist"...Ed ecco che "Post Tenebras Lux", nel suo essere film-mondo-esistenza, si scopre includere nella sua generosità di sguardi ed emozioni anche la Storia del grande cinema, senza post-modernismi d'accatto ovviamente. Un raro e riuscito esempio di poema audio-visivo. Un film puro, emozionale, splendido. Un capolavoro.
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