Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Sono al corrente delle polemiche feroci che il talentuoso regista messicano Reygadas si porta dietro ad ogni opera; per tale motivo ho voluto affrontare in modo puro e più disinformato possibile la visione della sua ultima opera in uscita (miracolosamente) pure da noi, cercando di informarmi il meno possibile su trama e sviluppi, facilitato anche dal fatto che le notizie relative al film risalivano ad un bel pò di tempo addietro, precisamente proprio ad un anno fa, ai tempi della precedente edizione festivaliera cannese, che lo vide fra l'altro tra i premiati.
I primi dieci minuti del film, in cui la macchina spia col suo occhio dai contorni sfocati ed inquietanti (ammetto che l'effetto prolungato ha più volte destato in me il sospetto malizioso di un errore di proiezione, episodio peraltro piuttosto frequente, almeno da noi in Liguria, e per il quale è sempre necessario l'intervento del sottoscritto per assicurare una prosecuzione senza visioni inutilmente distorte) i passi incerti a tratti euforici, a tratti preoccupati, di una bimbetta spavalda tra cani esaltati dalle suggestioni della libertà, bovini ed equini allo stato brado (è la figlia del regista, come pure il suo fratellino più grande), è un incipit eccezionale e indimenticabile. Inquietante come il sopraggiungere della notte, straziante come le chiamate per nome della mamma e del fratellino che invece sono distanti, troppo distanti per sentirla, quando in fondo alla radura la luce di casa è accesa ma troppo lontana per essere raggiunta. Pervade nello spettatore un senso di impotenza e disagio; anche i cani pastori sembrano imbarazzati e impegnati a prendere una decisione che non compete loro. Poi con l'arrivo della luce (la luce dopo le tenebre) ci rassicuriamo che si è trattato solo di un sogno e la bimba si scopre sana e salva nella bella accogliente casa che i suoi genitori ricchi e cittadini si sono costruiti nel mezzo della campagna più rigogliosa e selvaggia, per un ritorno alla natura ed ai valori genuini della vita.
Un ritorno alla schiettezza della natura insomma. Però nello stesso tempo il capo famiglia ammette una sua dipendenza insana dalla pornografia su internet, e porta la moglie a trascorrere una vacanza di piacere in un centro benessere che pratica lo scambio di coppia e il sesso di gruppo (un po' come in Canicola); i coniugi fanno i democratici col personale alle loro dipendenze, ma subiscono inesorabilmente il fascino del comando e della direzione; verranno ripagati con un sanguinoso tradimento a sorpresa che genererà la tragedia, e a cui seguirà un'autopunizione esemplare che nessuno di noi spettatori potrà probabilmente mai dimenticare.
Reygades, in compagnia ad un manipolo di altri grandi uomini di cinema spesso piuttosto giovani, cito il thailandese Weerasethakul (con cui il film condivide molto, la natura selvaggia ed incontenibile, una presenza silenziosa diabolica e misteriosa) ma pure il greco Lanthimos, il filippino Mendoza o l'austriaco Seidl, è uno di quei registi che affascina e spaventa alo stesso tempo. Padrone di gestire con i suoi tempi, i suoi ritmi e una narrazione che svicola da convenzioni narrative abituali o consuete, il regista messicano ha il coraggio e pure se vogliamo la sfrontatezza di parlarci degli incubi dell'uomo moderno, delle atrocità e delle violenze di cui è capace la razza umana senza moralismi o falsi pudori, mostrando tutto quanto c'e' da far vedere e rendendo anche una figura diabolica, inizialmente inquietante mentre si trova in visita di controllo serale domiciliare con tanto di cassetta degli attrezzi, come un testimone muto, quasi allibito o mansueto se non fosse che ci è impossibile scorgerne i tratti somatici a causa della fosforescenza che lo contraddistingue e ne annienta i connotati. Una figura muta che prova ad intervenire sul corso degli eventi, ma che poi si limita a constatare e a far ritorno da dove è venuto, quasi che a tutto il male che c'era da fare non potesse aggiungersi null'altro.
Registi meravigliosi che inquietano dicevamo, che seguono senza scendere a compromessi i percorsi dei sentimenti e delle emozioni che li tormentano od ossessionano. Registi che suscitano magari spesso sdegno o risentimento, ma che proprio per questo favoriscono una presa di coscienza e fanno maturare valutazioni e linee di pensiero, e di conseguenza rendono così fantastica, unica e vitale, quasi necessaria ed indispensabile, l'arte cinematografica.
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